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Cooperazione & Relazioni internazionali

“Ognuno faccia il possibile, i privati mettano a disposizione le proprie navi”

Intervista a Regina Liotta Catrambone, a capo dell'ong Moas, finora l'unica esperienza al mondo di soccorso in mare finanziato dai cittadini, che in due mesi del 2014 ha salvato 3mila persone e da maggio 2015 riparte con l'appoggio di Medici senza frontiere. "Sono inorridita dalla strage di ieri, ma politica e società civile insieme possono cambiare le sorti dei migranti. Via l'indifferenza, la vita umana non ha prezzo"

di Daniele Biella

“Sono inorridita”. È lapidaria Regina Liotta Catrambone, fondatrice dell’ong Moas, Migrant off aid station, e dell’azione navale omonima finanziata da privati – finora l’unica la mondo – che ha operato per due mesi durante il 2014 e si accinge a iniziare di nuovo da maggio 2015, questa volta per sei mesi. La donna, 37 anni, italiana residente a Malta dal 2008 con il marito Christopher e la figlia, è ancora scossa, come gran parte della popolazione mondiale, per quello che è successo ieri nel Mar Mediterraneo: gli almeno 700 morti annegati, provenienti da diversi paesi africani e dal Bangladesh, il cui dramma è già stato ribattezzato “la più grave strage marittima di migranti di sempre”. L’abbiamo raggiunta al telefono mentre sull’isola maltese sono arrivate le uniche 28 salme recuperate dal naufragio e parte dei 24 superstiti.

Si poteva fare di più per salvare quelle vite umane ora in fondo al mare, che si aggiungono alle migliaia morte negli ultimi anni?
Si doveva e si deve. Noi stessi siamo tremendamente dispiaciuti del fatto che la seconda missione del Moas partirà tra meno di due settimane, il 2 maggio: se fosse stata già attiva, sabato notte saremmo andati là ad aiutare nei soccorsi, perché alla fine è sempre una questione di tempo, prima arrivi più persone salvi. Ricordiamoci che stiamo parlando di esseri umani come noi, figli, sorelle e madri che potrebbero essere i nostri. Non si può rimanere indifferenti o speculare con la retorica contro l’immigrazione: muoiono davanti ai nostri occhi persone che rischiano la vita in cerca di un futuro migliore, più sfortunati di noi perché sono nati nel posto sbagliato. Le campagne d’odio sono inaccettabili, chiamarli invasori è una grave bugia. Per quanto riguarda il problema sicurezza, se su 100 migranti un paio fossero malitenzionati, è compito della giustizia internazionale riconoscerlo, per questo l’operazione umanitaria dovrebbe essere sempre affiancata da strumenti di controllo di chi arriva.

Le accuse si rincorrono: c’è chi incolpa il programma europeo Triton, gestito dall’agenzia Ue Frontex, chi l’Unione europea stessa e in generale la comunità internazionale. Quali responsabilità?
Frontex nasce come agenzia per il controllo delle frontiere, non per salvare vite anche se nelle emergenze si spinge in acque Sar (Search and rescue) di raggio internazionale: i mezzi navali di Triton sono arrivati sul luogo dell’incidente, così come quelli della Guardia costiera italiana. In questo caso, troppo tardi. Il problema non è quindi Frontex – che non ha sostituito il programma italiano Mare nostrum, ha appunto un mandato diverso, bisogna tenerlo a mente per non incorrere in gravi errori di valutazione – ma la mancanza di un Mare nostrum europeo, per intendersi, così come azioni via terra per disincentivare i trafficanti, come l’istituzione di un corridoio umanitario. Noi cerchiamo di mettere del nostro in tal senso facendo ripartire il Moas, e nello stesso tempo ci rivolgiamo a tutti gli imprenditori e gli armatori italiani perché ci mettano a disposizione ulteriori imbarcazioni che non utilizzano ma ready to go, pronte a partire. Questo è un momento fondamentale per invertire i tragici numeri dei morti, e la società civile, i privati cittadini possono contribuire molto mettendo ogni risorsa utile a disposizione. In particolare chi regge l’urto della crisi e può dedicarsi alla filantropia.

Su quali mezzi può contare Moas in questa seconda missione?
Come l’anno scorso, alla nave principale, Phoenix, sono affiancati due gommoni veloci a scafo rigido con l’aggiunta di due droni: abbiamo investito ancora di più sulla tecnologia, perché arrivare anche dieci minuti prima nei pressi di un’imbarcazione in pericolo significa evitare ulteriori tragedie. Lo staff è composto da 15 persone tra tutto l’equipaggio, a cui quest’anno si aggiungono 5 membri dell’ong Msf, Medici senza frontiere, con la quale abbiamo stretto di recente un accordo: i loro dottori e infermieri si occuperanno della parte sanitaria dei migranti recuperati, che nei soli due mesi del primo intervento del 2014 sono stati 3mila, portati sia sulle navi di Mare Nostrum che a terra in Sicilia, a Pozzallo come a Porto Empedocle. La nuova iniziativa del Moas parte grazie al finanziamento di alcuni privati tra cui in particolare un imprenditore tedesco.

Come opera Moas nel mare?
Ci spostiamo in acque internazionali seguendo le direttive del Comando superiore della Guardia Costiera di Roma, quindi coordinandoci con i loro mezzi navali e aerei, come avveniva anche durante Mare Nostrum. L’area di base di azione è quella attorno alle piattaforme petrolifere, e teniamo acceso lo IAS, il segnale satellitare utilizzato da tutte le imbarcazioni per la comunicazione marittima. Tutte le foto, i rapporti che facciamo li inviamo alla Guardia Costiera.

Moas non opera nell’accoglienza a terra, ma avrà conosciuto direttamente molte esperienze in atto. Come vede l’attuale sistema italiano ed europeo?
Ci sono esperienze positive di accoglienza diffusa che vanno incentivate, soprattutto in luoghi d’Italia che nei decenni si sono spopolati e ora potrebbero essere recuperati dando ospitalità. Di certo deve essere un sistema coordinato e con molta meno burocrazia di quella attuale: dovrebbe bastare un mese per avere una risposta positiva o negativa sulla richiesta di asilo politico, non un anno. Inoltre, ogni ente che accoglie dovrebbe sottostare a rigidi controlli, per evitare i tanti casi in cui persone opportuniste lucrano sulla pelle dei migranti con soldi statali, ovvero dei contribuenti italiani. Infine, per quanto riguarda gli ingressi in Europa, è prioritario il cambiamento del sistema attuale che si basa sul Regolamento Dublino III: è insostenibile che il migrante debba richiedere asilo nel paese d’approdo, l’Italia non può farsi carico da sola di chi arriva, ora più che mai dato che il numero è destinato a crescere e il 2015 sarà con ogni probabilità l’anno che supererà ogni record.


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