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Cooperazione & Relazioni internazionali

Quartapelle: «La società civile ha ragione, ma l’Europa ora si è svegliata»

Lia Quartapelle, segretario della commissione Esteri alla Camera, risponde alle perplessità e critiche delle organizzazioni umanitarie circa il piano europeo sull'emergenza migranti. «Condivido molto delle critiche. Bisogna evitare che la risposta europea sia forzata dai populisti. Non deve essere insomma securitaria ma complessiva. Siamo nella direzione giusta»

di Lorenzo Maria Alvaro

Dopo la tragedia dei migranti nel Mediterraneo, tra le tante voci che hanno commentato l’accaduto ci sono state le associazioni da anni impegnati sul tema. Dalla Croce Rossa Italiana a Medici Senza Frontiere, passando per Oxfam, Moas, Concord Italia e Amnesty International. Tutti sono concordi su una cosa: l’Unione Europea deve darsi una mossa. Ma non solo. Con l’uscire di indiscrezioni e dichiarazioni politiche circa il piano d’intervento europeo in tanti hanno anche sottolineato le criticità dei vari approcci. Per provare a rispondere ai loro dubbi e alle loro preoccupazioni abbiamo chiesto a Lia Quartapelle, segretario della commissione Esteri alla Camera.

La strategia europea, almeno dalla narrazione giornalistica, è cambiata col passare delle ore. Si è, sembra, abbandonata l’idea di un intervento di terra e si sta parlando di un documento in dieci punti che si possono riassumere in tre: 1. Colpire i barconi in porto, prima che partano 2. Tessere accordi con i Paesi confinanti alla Libia per controllare e impedire i flussi di migrazione 3. Raddoppiare i fondi, fino a sei milioni, per Triton, e aumentare quelli per l'accoglienza. È così?
Si è così. È chiaro che serve un concorso di misure come anche sottolineato dalla natura della riunione di ieri in Lussemburgo, che vedeva riuniti insieme i ministri dell'interno e degli esteri. La questione dei migranti è il punto più alto di convergenza tra le politiche interne e quelle sterne dell'Unione.

Per quello che riguarda i primi due temi le critiche delle organizzazioni sono sul fatto che, senza intervenire per pacificare la Libia, ma anche i tanti altri Paesi nel caos della regione, ogni tentativo di bloccare le partenze sarebbe vano. La Croce Rossa addirittura sottolinea che, essendo milioni i migranti pronti a imbarcarsi, se non dovesse essere praticabile la via libica semplicemente passerebbero da altri Paesi. Che ne pensa?
È evidente che la risposta Europea è un inizio di risposta. Ma è altrettanto evidente che il fatto di avere un vertice straordinario di capi di stato e di governo giovedì che discuta di questi temi e che già ha in previsione una serie di misure da prendere è sicuramente un risultato importante, cui ha concorso l'Italia. Ed è anche il segno che oggi, là dove fino a ieri non c’era sensibilità su certi temi, qualcosa è cambiato. Le organizzazioni fanno bene a ricordarci che ci sono problemi strutturali che si chiamano Siria ed Eritrea. Ma si sta lavorando per dare una risposta completa. C'è un inizio di risposta, che però va riconosciuto ora è al più alto livello.

Sui fondi in più per Triton e accoglienza invece le associazioni umanitarie parlano di passo avanti. Ma sottolineano che è impensabile lasciare l’Italia sola nel sostenere il peso di tutte le migrazioni. Si chiede di rivedere i trattati di Dublino. È in agenda una cosa del genere?
Già nei fatti è uno dei punti di cui si discuterà giovedì. Verrà reiterata la disponibilità di accogliere su base volontaria almeno 5mila migranti che arrivano in Italia.  Se è certo che si tratti di un numero esiguo di persone è un segno importante di come le cose stiano cambiando. Giovedì si discuterà di un superamento nei fatti di Dublino. Questo perché ci si rende conto finalmente delle reali dimensioni del problema.

Si parla anche di aumentare il numero di imbarcazioni e quindi di soccorsi in mare. Il che però, sottolineano le associazioni, è una falsa soluzione. I morti dell’altro giorno erano infatti in procinto di essere salvati…
Tutte quante, anche la risposta europea, sono risposte che dicono che la soluzione non è rimandata alle risorse di Triton. È un problema epocale e strutturale. Hanno ragione le organizzazioni. Ma la risposta che si sta cercando di dare non riguarda solo le risorse, dovrà per forza riguardare scelte di politica estera. Se 100 mila dei 170mila profughi sono siriani ed eritrei è evidente che a un certo punto, presto, dovremo affrontare quei nodi.

C’è poi un’altra proposta che non si è capito se è stata archiviata o meno. Quella sulla esternalizzazione della richiesta d’asilo. Cioè il fatto di permettere ad un profugo di chiedere asilo politico e lo status di rifugiato direttamente dalle coste nord africane. In tanti dicono che sia una scorciatoia che in realtà sospende un diritto, visto che la richiesta presuppone l’ingresso nel Paese cui si fa la richiesta…
Questa è un'idea che c'è almeno dal 2012. Un conto è se la riferiamo alla Libia, dove al momento non si possono pensare soluzioni di questo tipo. Un altro è se la riferiamo ai profughi Siriani, che sono sparsi tra Turchia, Libano e Giordania. Certamente su queste persone l'Ue deve fare qualcosa. Per quello che riguarda il diritto d'asilo esternalizzato, l'obiezione è valida se si parla di chi è ancora nel Paese dal quale vuole fuggire. Ma noi parliamo di almeno 5 milioni di profughi già fuori i confini nazionali di provenienza. In quel caso l'obiezione decade.

L’altro tasto su cui tutti battono, oltre al volere un’Europa più impegnata e presente, è sull’errore che starebbe alla base di tutti gli interventi fin qui condotti: quello di considerare i migranti un tema di sicurezza e no una questione umanitaria. Come risponde?
Condivido assolutamente. Penso, a differenza delle organizzazioni, che ci siano dei passi avanti fatti dall’Unione tra lunedì e giovedì. Bisogna evitare che la risposta europea sia forzata dai populisti. Non deve essere insomma securitaria ma complessiva, che tiene dentro tutto: dal diritto dei rifugiati alla sicurezza dei cittadini europei fino ai grandi temi di politica estera. L'Europa non può cavarsela solo con il bloccare le partenze di chi vuole scappare.


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