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Reddito di cittadinanza? L’importante è il contrasto alla povertà

Don Virginio Colmegna commenta l'introduzione di un reddito di inclusione sociale, «ha il merito di aver rimesso al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica l’irrimandabile lotta alla disuguaglianza sociale»

di Redazione

Se c'è un aspetto positivo del dibattito riaperto, con modalità e tempi diversi, sull’opportunità di introdurre finalmente anche in Italia il reddito di cittadinanza (o reddito minimo, o reddito di inclusione sociale o in qualsiasi altro modo lo si voglia chiamare) credo sia l’aver rimesso al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica l’irrimandabile lotta alla povertà e l’urgente contrasto alla disuguaglianza.

Si tratta di problemi che occorre affrontare in fretta perché il ritardo accumulato in questi otto anni di crisi è ormai eccessivo. Eccessivo come il divario tra occupati e disoccupati, come la crescita abnorme di giovani in cerca di lavoro con scarse prospettive di trovarne uno, come l’impennata dei cosiddetti “working poor”, persone con bassi profili professionali, scarsa istruzione, sottoccupati in settori dove i salari sono ridotti all'osso, che non godono di nessuna adeguata tutela di politica fiscale. È in questo sottobosco di precariato e povertà che la forbice delle disuguaglianze sociali ed economiche si è allargata in modo inedito e preoccupante.

Durante questi otto anni di crisi, dice l’Istat, la quota di famiglie italiane a rischio povertà è salita al 16,6 per cento del totale, quasi cinque punti in più della media europea. Tradotto in numeri, significa che oltre 10milioni di italiani sono a rischio povertà. Poi ci sono, rivela sempre l’Istat, i 2,4 milioni di giovani tra i 15 e 26 anni che né vanno a scuola né hanno un lavoro. E ancora c’è il 13 per cento di disoccupati. Numeri che spiegano fin troppo chiaramente perché il tema della lotta alla povertà e all’esclusione sociale si incroci necessariamente con quello del lavoro.

Solo prendendoli di petto entrambi, io credo, si possono dare risposte non assistenziali, capaci di spezzare la spirale perversa che conduce dall’occupazione alla sottoccupazione, dalla sottoccupazione alla disoccupazione e dalla disoccupazione alla povertà. Serve, io credo, una politica sociale che ridisegni gli interventi e le priorità dell’intervento pubblico adeguandolo a una domanda che è fortemente cambiata in questi otto anni di crisi. Credo si debba pensare una politica fiscale che sia conseguente alle priorità definite e, per fare un altro esempio, una politica salariale che ridia dignità a tante professionalità oggi sottopagate. Sono temi che meglio di me economisti, sociologi e giuslavoristi hanno affrontato e possono affrontare presentando a chi di dovere idee e proposte. Ma bisogna stringere i tempi.

Da parte mia, confesso, mi preoccupa un po’ la riproposizione altalenante di proposte sul reddito di cittadinanza che occupano spazio sui media e tengono banco tra le diverse aree politiche per un certo periodo (spesso alla vigilia di elezioni) per poi tornare nell’ombra. Per questo auspico una politica capace di fissare priorità, capace di affrontare nel suo insieme il tema del lavoro e dell’occupazione come antidoto migliore all’impoverimento di larghi strati di popolazione, alla loro emarginazione ed esclusione sociale.

Credo sia urgente occuparsi del problema della ridistribuzione delle risorse in questo nostro paese. Penso che non sia rimandabile aggredire con decisione la questione delle disuguaglianze con un’adeguata politica di giustizia fiscale che fissi meccanismi semplici ma efficaci. Penso che non sia ulteriormente rinviabile la sempre promessa e mai attuata politica a favore delle famiglie. Penso che, a livello locale, sia urgente avviare una politica abitativa capace di adeguare l’offerta (anche dal punto di vista qualitativo) alla domanda effettiva di alloggi. Ritengo strategico un piano straordinario per il lavoro e l’occupazione. Insomma, è da un insieme di “politiche sociali” che bisogna ripartire. Serve una sorta di “new deal” che coniughi misure economico-fiscali e interventi sociali in una visione di lungo periodo. E non facili slogan, estemporanee soluzioni tampone o proposte elettorali di corto respiro.

 


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