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Oltre lo spreco alimentare. L’esempio di Tristam Stuart

Gran parte del cibo immesso sul mercato alimentare è in eccedenza e, anziché sulle nostre tavole, finisce direttamente nella spazzatura. In Europa, 89 milioni di tonnellate di cibo - in media 180 kg a persona - vengono sprecati ogni anno. In Italia, la media è di 109 kg a testa, per un valore complessivo di 37 miliardi di euro e un costo occulto medio a famiglia di 450 euro.

di Marco Dotti

Secondo Tristam Stuart, in Europa si spreca cirica il 40% del cibo prodotto, negli Usa molto di più. Laureato a Cambridge, trentotto anni, storico, giornalista e scrittore, Stuart è un vero esperto di sprechi alimentari, oltre che un militante freegan, il movimento nato per promuovere uno stile di vita non consumistico, votato al riciclo dei resti alimentari nelle grandi città.

Con il suo Waste ("Sprechi"), tradotto nel 2009 in Italia da Bruno Mondadori, Stuart ha raggiunto notorietà internazionale, richiamando l’attenzione sulle tonnellate di cibo prodotto o importato nel Nord America e in Europa, cibo che, inutilizzato e buttato, alimenta un vero e proprio «circuito globale dello spreco».

Stuart è anche uno straordinario organizzatore: Feeding the 500 è l'iniziativa che da anni vede coinvolte 5000 persone, invitate a una cena pubblica preparata unicamente con cibo solo apparentemente di scarto. Se oggi si parla di spreco alimentare e se si stanno moltiplicando le iniziative per combatterlo (l'ultima in Francia, dove si è intervenuto con una legge ad hoc proprio negli scorsi giorni) lo dobbiamo anche al lavoro pionieristico di Stuart.

Come ha iniziato la sua ricerca sugli sprechi?

Tristam Stuart: Avevo all’incirca 15 anni, quando mi misi in testa di allevare maiali. Per questo avevo cominciato a raccogliere gli avanzi della mensa scolastica. Presto mi accorsi che la maggior parte del cibo cucinato ogni giorno veniva buttato via, senza neppure essere toccato. Andavo dal panettiere e raccoglievo il pane raffermo, ma mi accorgevo che quel pane era ancora commestibile, non solo per i maiali, mentre al fruttivendolo chiedevo la verdura che non poteva essere più esposta sui banchi, spesso solo perché non corrispondeva a criteri “estetici” adeguati. Dai contadini, invece, ritiravo le patate che non avevano una forma perfetta e nessun supermercato voleva.

Si dice che anche l’occhio vuole la sua parte, ed è vero, ma questo non giustifica la miopia davanti a frutta o verdura perfettamente commestibili, ma magari poco “fotogenici”. Ho cominciato a rovistare nei cassonetti attorno ai supermercati e ho scoperto che anche lì molto cibo veniva letteralmente buttato, per ragioni di scelte commerciali o di marketing o, magari, perché si doveva semplicemente fare spazio a altre scatolette in un reparto.

Ora, questa pratica di rovistare nella spazzatura ha un puro valore di prova: io non invito la gente a fare altrettanto, denuncio il fatto che se posso procurarmi cibo semplicemente aprendo un cassonetto, questo significa che gli sprechi ci sono e occorre impegnarsi e combattere per la loro riduzione.

Nonostante una crisi economica che non accenna a ridursi, alcune modifiche nel comportamento di spesa degli europei si spiegherebbero anche grazie all’imporsi di nuovi stili di vita e all’accresciuto grado di consapevolezza nella scelta nel consumo.

Tristam Stuart: Noi consumatori non dobbiamo essere docili, dobbiamo imporre le nostre scelte critiche e alla grande distribuzione non potrà che mutare le proprie politiche di vendita, accogliendo sui propri banchi – ad esempio – prodotti sformati, ma perfettamente commestibili come le patate che io raccoglievo per i miei maiali.

Questo imporrebbe anche una diversa filosofia del cibo a monte…

I Paesi ricchi trattano il cibo come se fosse una risorsa inesauribile a impatto zero, questo è il problema. Presi da un’ansia di produzione spinta all’inverosimile, arrivano a sprecare fino al 50% del cibo prodotto. Purtroppo, il cibo non è a impatto zero e per produrlo infatti servono risorse energetiche, idriche, servono campi da coltivare adibendoli a produzione di cereali (come nel caso del foraggio per i bovini). Questo provoca un impoverimento generale del terreno, a causa di altri sprechi (spreco d’acqua, di concime e via discorrendo), aumenta l’inquinamento a causa dei trasporti o delle immissioni di anidride carbonica.

A questo, si aggiunge poi il fatto che tonnellate su tonnelate di prodotti commestibili vengono gettati in tutta la filiera del consumo, nei ristoranti, nelle mense, ma anche nelle famiglie, i cui membri ancora non hanno perso l’abitudine di comportarsi come consumatori viziati.

Se ognuno di questi consumatori, in Italia, produce all’incirca decine di kg di rifiuti alimentari all’anno, chi può dire quanto cibo ancora commestibile è ricompreso in questa cifra?

Tristam Stuart: Il problema è che, in Italia, l’88% del cibo immesso sul mercato è in eccedenza e, come tale, viene sprecato. Questo è un dato fortemente antieconomico, anche per gli stessi ipermercati che, riducendo gli sprechi e contribuendo a un meccanismo virtuoso, potrebbero ridurre notevolmente i costi di magazzino

 

 

fotografia in copertina: Tristam Stuart


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