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Urbex, il movimento che fa rivivere gli edifici abbandonati

«La nostra è una passione affascinante e pericolosa. In agguato esiste sempre il rischio che scatti un allarme, esca fuori un custode o un cane da guardia. Facile è anche ferirsi o cadere perché le strutture sono fatiscenti». Così spiega l'attività del gruppo uno dei partecipanti, Sergio, informatico di 38 anni

di Noria Nalli

«La nostra è una passione affascinante e pericolosa. In agguato esiste sempre il rischio che scatti un allarme, esca fuori un custode o un cane da guardia. Facile è anche ferirsi o cadere perché le strutture sono fatiscenti. Non mi sentirei di proporre a chiunque di imitarci». Sono parole di Sergio ,38 anni, informatico, che da tempo, insieme ad Alessandro, 35 anni, musicista esplora luoghi abbandonati in giro per l'Italia. Sir Cage e Joey, entrambi torinesi, fanno parte del movimento Urbex, gli esploratori urbani, di ogni sesso ed età, che, in tutto il mondo, dedicano il loro tempo libero alla ricerca e alla “visita” di ogni genere di luogo abbandonato.

«Siamo come dei fotoreporter, dei ricercatori di posti dimenticati e dismessi. Vogliamo mostrare quali meraviglie talvolta si nascondano dietro a una recinzione e permettere che le storie si tramandino anziché morire tra polvere e catenacci. Visitiamo ogni tipo di edificio: ville, castelli, chiese, fabbriche, monasteri, caserme, borghi. Cercando di portare al di fuori di finestre murate e di cancelli arrugginiti testimonianze reali di ciò che vi è all'interno è di far così rivivere le storie delle persone che hanno abitato questi luoghi».

L'urbex è affascinante, ma non si improvvisa. Bisogna studiare bene i luoghi prima di addentrarsi, conoscere il più possibile i dintorni ed avere un minimo di attrezzatura. «È difficile descrivere quello che si prova, nelle nostre visite. Si scarica un'adrenalina incredibile, come in uno sport estremo», spiega Alessandro, «è sicuramente terapeutico e aiuta a staccarsi completamente da ogni altro pensiero, che non sia esplorare. Poi c'è il piacere che si prova alla vista di ciò che troviamo».

«A volte sono ruderi, a volte sono edifici intonsi», aggiunge con fervore Sergio, «a volte pare che sia scoppiata una bomba, altre sembra che i proprietari si siano semplicemente assentati per qualche ora». A volte l'abbandono è totale, deprimente, quasi sinistro. «In altre situazioni invece troviamo oggetti, stanze, pareti affrescate, che tolgono il fiato per la loro bellezza», commenta Alessandro. L'attività di questi archeologi del mondo post industriale conosce precise regole ed ha una sua deontologia. Dai posti visitati non si rompe né si trafuga nulla. Si può solo osservare, fotografare e filmare. Questo materiale visivo viene largamente condiviso tra gli urban explorer. Di norma si mantiene anche il riserbo sui luoghi visitati. «Ne parliamo solo tra noi e non possiamo condividerlo all'esterno, per evitare atti di vandalismo», spiegano Alessandro e Sergio.

L'Urban exploration talvolta viene anche chiamata speleologia o arrampicata urbana, a seconda dei luoghi visitati. La storia di queste esplorazioni è abbastanza recente le sue origini vengono fatte risalire al 1793, quando Philibert Aspairt, morì in una rete di gallerie sotterranee delle “catacombe” di Parigi. L'Urbex è stata resa nota al grande pubblico grazie a Discovery Channel e a film come l'horror Urban Explorer di Andy Fetscher del 2011. Le foto ed i video delle avventure di Joey e Sir Cage si possono trovare anche nella pagina Facebook e nel canale YouTube di Urbex in action.


In copertina una foto di Joey Tassello


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