Sostenibilità sociale e ambientale

Ecco perché Ségolène Royal ce l’ha con la Nutella

Dobbiamo davvero rinunciare alla cioccolata spalmabile più amata del globo? Dopo che le dichiarazioni del ministro francese dell’ecologia hanno sollevato il dibattito, proviamo a spiegare se la Nutella è davvero così terribile per l’ambiente

di Ottavia Spaggiari

“Dobbiamo ripiantare moltissimi alberi per la deforestazione massiva che porta al riscaldamento globale”, ha dichiarato, secondo Agence France-Presse Ségolène Royal, Ministro francese dell’ecologia, al canale televisivo Canal+. “Dovremmo smettere di mangiare la Nutella ad esempio, perché per farla si utilizza l’olio di palma”.

Un appello quindi a rinunciare alla cioccolata spalmabile più succulenta e famosa del globo, cibo di conforto utilizzato come ingrediente di torte, gelati e dolci in tutto il mondo, e mangiato ogni volta che si vuole rendere la propria giornata un po’ più dolce. E un coro di proteste (soprattutto italiane) si sono levate sui Twitter e Facebook, perché l’idea di rinunciare a qualcosa di così classico e così confortevole come la Nutella fa appunto arrabbiare. Ma perché dovremmo smetterla con quelle merende al cioccolato, che, sin da quando eravamo piccoli riuscivano a riportare un po’ di gioia anche nei più plumbei pomeriggi d’inverno? Ebbene la produzione di olio di palma richiede di trasformare le foreste tropicali in piantagioni, andando così ad incidere violentemente sulla biodiversità degli ambienti naturali fino a cambiarli profondamente, aumentando inoltre le emissioni di Co2.

Come ha notato giustamente Justin Worland su Time magazine, infatti, la ricerca scientifica ha dimostrato che, in Malesia, ad esempio, la creazione di nuove piantagioni ha diminuito la biodiversità del 12%. Legato alla deforestazione intensiva è anche il fenomeno della riduzione e dell’estinzione di alcune specie animali, tra queste, ad esempio gli orango. La Malesia è il secondo più grande produttore al mondo di olio di palma, arrivando a produrre il 39% dell’olio di palma globale, mentre in Africa e America Latina il mercato si sta ancora sviluppando e si tende a pensare che continuerà a crescere nei prossimi anni. Basti pensare che la produzione dell’olio di palma è raddoppiata negli ultimi dieci anni ed è destinata a raddoppiare ancora nei prossimi dieci. I 42 milioni di tonnellate metriche di olio di palma esportati ogni anno sono spediti in più di 70 Paesi in tutto il mondo, di queste solo il 16% è certificato come “sostenibile” (dati del 2013). Chiaramente non abbastanza, oltretutto pensando che, oltre all’impatto ambientale, bisogna considerare anche le conseguenze che la deforestazione ha sulle popolazioni locali. Benché infatti le piantagioni possano sembrare una via di uscita dalla povertà, spesso hanno conseguenze devastanti su chi nelle foreste ci abita e lì ha costituito una microeconomia. Il tema quindi rimane complesso.

Ferrero ha replicato che “Utilizza al 100% olio di palma certificato sostenibile per i suoi prodotti confezionati a Villers-Ecalles (in Francia).” Continuando poi con l’affermazione che l’azienda ha “preso numerosi impegni per quanto riguarda l’approvvigionamento di olio di palma, la cui coltivazione può andare di pari passo con il rispetto dell’ambiente e delle popolazioni”. E ha sottolineato sta lavorando per trasformare l’industria dell’olio di palma per renderla sostenibile, il rischio però è che questa trasformazione non avvenga abbastanza in fretta e che gli effetti su ambiente e popolazione locale siano irreparabili. Insomma, Ségolène Royal ha posto sul tavolo una questione su cui riflettere.

Photo by Justin Sullivan/Getty Images


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