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Doninelli: ecco perchè trovo bellissimo il titolo del prossimo Meeting

Lo scrittore Luca Doninelli, presente tante volte al Meeting di Rimini, commenta il titolo scelto per l'edizione 2016: Tu sei un bene per me. Chiunque tu sia, profugo, grillino, campione di rugby, politico, tu, ora, sei un bene per me. Un titolo bellissimo, semplice e necessario

di Luca Doninelli

E’ davvero bellissimo, semplice e sorprendente il titolo del prossimo “Meeting” di Rimini, annunciato come sempre alla fine dell’edizione di quest’anno. Tu sei un bene per me.

Quanto bisogno abbiamo di parole così. Non importa innanzitutto a chi siano venute in mente, cosa intendesse precisamente chi le ha pensate e proposte per l’edizione 2016 della rassegna riminese: quello che importa è che erano le parole giuste, quelle necessarie oggi, quelle che prima o poi andavano dette, per tutti: per i credenti e per i non credenti, per gli amici di Cl e per i suoi nemici, per gli estimatori del “Meeting” e per i suoi detrattori.

Il grande poeta Charles Péguy, parlando delle Ninfee di Monet, che per anni costituirono l’unico soggetto del grande pittore, si domanda quale sia la migliore di tutte, e la sua sentenza è sicura: “La migliore è la prima, perché tutta carica dello stupore dell’inizio. La verità è nell’inizio”.

Non sono mai riuscito a concordare completamente con questo giudizio, e oggi capisco meglio perché: perché l’inizio non sta necessariamente nella prima ninfea: la prima è – mi si perdoni il calembour – un indizio dell’inizio, una segnalazione, un indicatore di direzione: ma se l’inizio stia sempre nella prima, se lo stupore debba essere un “prima” estraneo al lavoro – e quindi alla continua elaborazione dei contenuti – io davvero non so, mi verrebbe da dire di no.

Che lavoro sarebbe, il nostro, se non potessimo aspettarci, al suo interno, qualcosa di completamente nuovo, imprevisto, il rivelarsi improvviso di una ragione che ci aveva mosso per tanto tempo ma che era rimasta per così dire nascosta alla nostra consapevolezza? Che lavoro sarebbe se si riducesse alla realizzazione di un piano che abbiamo in testa? Che lavoro sarebbe se il suo contenuto ultimo non stesse nel puro accadere di qualcosa di totalmente nuovo?

Ciò che un artista attende (e qui uso “artista” come paradigma, potrei dire anche “idraulico” o “antropologo”) è precisamente l’Inatteso.

Per questo non sono d’accordo con Péguy, e sono certo che lui ne sarà contento, visto che non c’è niente di peggio, per un artista, della sua santificazione culturale.

Così, ecco che tutto si rimette in gioco, restituendo a tutto (comprese le parole di Péguy) il suo giusto valore. Tu sei in bene per me. Le parole che compongono questa frase sono tutte belle, ma se dovessi sceglierne una sarebbe sei. Tu sei adesso un bene per me. Tu sei, così come sei, un bene per me. Tu grillino, tu profugo, tu Ruggero Trevisan, il campione di rugby che ha lasciato Nazionale e sport professionistico per farsi prete e missionario. Proprio ieri, Trevisan ha detto ricordando l’incontro con i alcuni ciellini nel 2011: “Rimasi molto colpito dal rapporto che c'era tra di loro e dall'interesse profondo che avevano per le persone”. Tu sei un bene per me, chiunque tu sia. Sei un bene perché io non sono se non in relazione a te. Ora, oggi tu sei, non un tu sei stato, che è la tomba dell’amore e della verità.

Pensiamo a come tutto questo diventi liberante sia nelle nostre giornate – fitte di incontri ma anche di tantissimi incontri mancati – sia al “Meeting”, che in fondo non è altro che la proiezione in grande, come su un ideale maxischermo, o meglio su un grande palcoscenico teatrale, della nostra vita quotidiana (e questo è il suo bello, secondo me).

Pensiamo a un politico, di qualunque schieramento, che all’ingresso della Fiera di Rimini sappia riconoscere nello sguardo del popolo del Meeting la traccia di quelle parole: tu sei un bene per me, che vuol dire anche tu sei un dono per me: non perché sei un politico, non per quello che potrai fare per me, ma perché ci sei.

Questa non è un’utopia. E’ vero, io per primo tendo a mandare a quel paese la maggior parte dei “tu” che incontro durante la giornata. Io per primo tendo a scollare la consapevolezza di quel “tu sei” dalle mie reazioni concrete, così che quel “tu” resta vero ma astratto. Quanti “tu” contrari ai nostri interessi (il capufficio, la concorrenza, il compagno di partito ecc.) si presentano nelle nostre giornate!

Eppure al Meeting – dove tutti sanno benissimo queste cose e ne conoscono il peso – la parola finale è un’altra: non “ti sconfiggerò”, non “togliti dai piedi”, non “ti amerò un’altra volta” ma tu sei un bene per me. E’ il giudizio ultimo, definitivo, sull’altro, amico o nemico che sia. Non perché lo mettiamo sempre in pratica, ma perché è quello che ci sostiene, aiutandoci a metterlo un po’ più in pratica per amore del vero e del bene.

Soprattutto perché il vero e il bene si sono lasciati conoscere, toccare, riconoscere nella forma di un amore immeritato, di una stima non ricambiabile, di una bellezza di cui eravamo incapaci. Eravamo ancora peccatori, dice S. Paolo. Proprio per questo il Signore Gesù talvolta si ferma dentro le nostre pupille ingrate, e ci dona di guardare la realtà per ciò che essa è nella sua profondità: un bene per me, per noi.


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