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Education & Scuola

Il decalogo per l’accoglienza degli alunni immigrati

Il Miur stanzia un milione di euro per l'inclusione degli alunni con cittadinanza non italiana: 500mila per l'italiano come L2 e 500mila (è la prima volta) per i minori stranieri non accompagnati. In più ha inviato a tutte le scuole un vademecum di dieci azioni concrete da fare

di Sara De Carli

Potremmo chiamarlo “il decalogo della buona accoglienza”: sono dieci semplici azioni per accogliere in classe gli alunni stranieri, lavorando perché il loro percorso scolastico sia un percorso di successo, precondizione per una buona integrazione. Il Miur ha inviato ieri a tutte le scuole “Diverso da chi?”, un documento snello e concreto elaborato dall’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’intercultura del Miur, ricostituito un anno fa.

Nelle nostre aule, gli alunni con cittadinanza non italiana sono più di 800.000 (dati relativi all’anno scolastico 2013/2014), pari al 9% dell’intera popolazione scolastica. Più della metà di questi ragazzi – il 52% – sono nati in Italia. Solo il 4,9% è di recente immigrazione. In un momento in cui si fa un gran parlare di distinguo fra migranti in base alle loro skills, non è possibile non tenere presente che «dipende dagli esiti dell’esperienza scolastica dei figli dei migranti la possibilità di un Paese di contare, per il suo sviluppo economico e civile, anche sulle intelligenze e sui talenti dei “nuovi italiani”», si legge nel documento.

In questo avvio di anno scolastico, il Miur ha stanziato 1 milione di euro per migliorare l'integrazione e l'accoglienza degli alunni con cittadinanza non italiana. Le scuole hanno tempo fino al prossimo 15 ottobre per aderire a due bandi: uno stanzia 500.000 euro per il potenziamento dell'italiano come L2, con particolare attenzione agli studenti di recente immigrazione, l’altro – per la prima volta – stanzia 500.000 euro per progetti di accoglienza e di sostegno linguistico e psicologico dedicati a minori stranieri non accompagnati. I progetti dovranno prevedere corsi intensivi in orario scolastico o extra, anche con il coinvolgimento delle famiglie: potranno essere realizzati da scuole o reti di scuole.

La premessa del documento è che «una “buona scuola” è una scuola buona per tutti e attenta a ciascuno». La scuola ha saputo dare risposte efficaci alle nuove domande sollecitate dalla presenza crescente di alunni stranieri, ma troppo spesso queste risposte sono rimaste a livello di buone pratiche: un livello che il Miur definisce di «brusio», mentre servirebbe «voce forte e condivisa», che può nascere solo da «una formazione capillare e non sporadica dei dirigenti scolastici e degli insegnanti, animata in primo luogo da coloro che si sono formati sul campo» (già, ma a chi spetta fare questa formazione?).

Ma veniamo alle dieci azioni concrete.

1 – Ribadire il diritto all’inserimento immediato degli alunni neoarrivati. Tutti, anche chi arriva a anno iniziato, hanno diritto all’inserimento immediato a scuola, senza liste di attesa e trasferimenti da una scuola all’altra che fanno perdere tempo, motivazione, fiducia nelle istituzioni.

2 – Rendere consapevoli dell’importanza della scuola dell’infanzia. Oggi un quarto dei bambini con origini migratorie, fra i 3 e i 5 anni, non va alla scuola per l’infanzia, che invece è un luogo educativo cruciale ai fini dell’apprendimento linguistico e di una buona integrazione. Bisogna partire da lì, anche rendendo sostenibili le tariffe di iscrizione alle scuole non gestite dal pubblico.

3 – Contrastare il ritardo scolastico. Troppo spesso – dati alla mano – i ragazzi vengono inseriti in classi inferiori a quella che dovrebbero frequentare in base alla loro età, spesso con la motivazione della scarsa conoscenza dell’italiano. Ma metterli fra compagni più piccoli non solo non evita, ma in molti casi favorisce ulteriori ritardi dovuti alle bocciature/ripetenze, con effetti di demotivazione al proseguimento degli studi.

4 – Accompagnare i passaggi tra un ciclo scolastico e l’altro e adattare il programma e la valutazione. La prima media e la prima superiore sono uno scoglio per gli alunni con cittadinanza non italiana, anche se nati in Italia. Vanno predisposti piani personalizzati che comportino, se necessario, anche modifiche transitorie e non permanenti dei curricoli.

5 – Organizzare un orientamento efficace alla prosecuzione degli studi. Oggi la gran parte degli alunni con cittadinanza non italiana dopo le medie si iscrive a corsi o istituti professionali. È opportuno che sia attivato un orientamento agli studi più efficace, senza stereotipi. Perché non pensare a uno studenti di seconda generazione che faccia da tutor ai neoarrivati, per sostenerli nei laboratori, nell’apprendimento dell’italiano, nell’orientamento?

6 – Sostenere l’apprendimento dell’italiano L2, lingua di scolarità. Istituire negli istituti scolastici i “laboratori linguistici permanenti”, animati da insegnanti specializzati nell’insegnamento dell’italiano lingua 2, dedicando risorse dell’un organico “funzionale”.

7 – Valorizzare la diversità linguistica, riconoscendo i saperi acquisiti e le competenze di ciascuno, ad esempio, nella lingua materna, e perché no? attivando dentro le scuole corsi opzionali di insegnamento delle lingue d’origine.

8 – Prevenire la segregazione scolastica (le scuole-ghetto freqeuntate quasi solo da immigrati) garantendo in tutte le scuole una buona qualità dell’insegnamento/apprendimento, in maniera esplicita e trasparente. Come si fa? Promuovendo accordi a livello locale, per operativi i criteri di equo-eterogeneità nella formazione delle classi, evitando o riducendo i casi di concentrazione delle presenze.

9 – Coinvolgere le famiglie nel progetto educativo per i loro figli: promuovere l’informazione e la partecipazione attraverso i messaggi plurilingue, incoraggiare la rappresentanza dei genitori stranieri, attivare opportunità di apprendimento dell’italiano per i genitori di origine straniera, con particolare attenzione alle madri che non lavorano.

10 – Promuovere l’educazione interculturale nelle scuole: le classi e le scuole “a colori” sono lo specchio di come sarà l’Italia di domani. Per questo possono diventare (e in parte già lo sono) laboratori di convivenza e di nuova cittadinanza.


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