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Pavia aiuta il Guatemala grazie ai “partigiani della solidarietà”

Il pavese Emanuele Chiodini ha trasformato il suo negozio di San Martino Siccomario in una speciale “edicola solidale”. E insieme a sei amici ha fondato un’associazione che cura progetti molto concreti a favore di scuole e missioni del Paese centroamericano

di Marina Moioli

San Martino Siccomario è un paesone di seimila anime della Bassa lombarda in provincia di Pavia. «Negli ultimi due decenni è cambiato moltissimo, in peggio, diventando uno dei tanti paesi dormitorio per chi va a lavorare a Milano», dice Emanuele Chiodini, 45 anni. Lui, a San Martino, ci è nato e ci abita da sempre. E da 25 anni si occupa del negozio-edicola di famiglia («l’ha aperta mio nonno e io conservo ancora gelosamente la biciletta d’epoca con cui girava per tutto il circondario a fare le consegne dei giornali», racconta), che ha trasformato però in una vera e propria “edicola solidale”.

«Ho sempre cercato di farne un punto di incontro, di riferimento per una serie di iniziative di solidarietà. Come la raccolta periodica di generi alimentari per la mensa dei Francescani di Pavia o quella dei tappi di plastica per aiutare i ricercatori dell’Università. «L’anno scorso abbiamo donato libri, quaderni e generi di cancelleria all’associazione di una signora peruviana che si occupa di mediazione culturale per tutta la comunità sudamericana, che a Pavia è molto ampia. Tutte cose per noi diventate abituali», spiega Chiodini.

Sul bancone del suo negozio da qualche mese c’è un bussolotto con il logo dell’associazione “Insieme per il Guatemala”. «A idearlo è stato Massimo Piran, informatico, mio amico di sempre. Attraverso la fusione dei colori nazionali dei due Paesi simboleggia l’ideale incontro di due possibili azioni di solidarietà complementari. Perché la solidarietà non ammette prevaricazioni. E nemmeno nazionalismi. Infatti i colori si sfumano e da queste sfumature può nascere novità e dignità», spiega l’edicolante pavese che nel giugno scorso ha dato vita all’associazione con un piccolo gruppo di amici, allo scopo di finanziare sette progetti molto concreti per aiutare scuole, case di accoglienza e missioni in Guatemala.

«Una sfida un po’ visionaria se vogliamo», commenta Chiodini «ma in cui crediamo fermamente. Insieme a Claudia, Serafina, Silvestro, Monica 1 e 2 e Silvia abbiamo deciso di compiere questo passo perché la gran parte dei soci costituenti è legata da un’antica amicizia verso questo strano e originale Paese e, al contempo, crede nel valore della solidarietà come principio irrinunciabile della propria azione. Il nostro intento è di creare oasi di solidarietà, educazione, cultura, libertà, equità e giustizia. Il Guatemala ha tre grandi problemi: la descolarizzazione, il fenomeno dei bambini abbandonati e la denutrizione. Per ora abbiamo deciso di concentrarci sui primi due e sulla nostra pagina Facebook presentiamo i nostri progetti, gli obiettivi da raggiungere in termini monetari e i riferimenti delle strutture che vogliamo aiutare».

Per garantire continuità e serietà di intenti Chiodini e i suoi amici hanno scelto istituzioni che operano direttamente in Guatemala, come il Collegio Santa Catarina e altri due istituti scolastici a El Rancho e Las Champas delle Misioneras de la Caridad de Maria Imaculada (Congregazione di suore cattoliche guatemalteche e messicane), la casa di accoglienza (Hogar) Ninos de Fatima che ospita niños de la calle e bambini abbandonati alla nascita nella capitale Città del Guatemala o la piccola scuola parrocchiale della missione di don Marino Gabrielli a Moyuta.

Proposte di solidarietà concreta, con obiettivi raggiungibili. Ad esempio il progetto “Adotta un insegnante” che con 4.000 euro garantisce una formazione di buon livello e la continuità didattica in due scuole frequentate da più di 700 bambini o quello “10 bambini di più a scuola” che con 1.500 euro copre l’iscrizione e le spese per 10 mesi di lezioni. «Ma non dimentichiamo neppure il sostegno ad alcuni amici conosciuti nei nostri viaggi e raccogliamo fondi per aiutare gli studi superiori di sei giovani ragazze di Mazatenango (1.000 euro) o il triennio universitario di Annamaria, 19 anni, che è diventata da poco mamma di una bella bimba, Ximena Alexandra. I 1.500 euro raccolti nelle settimane precedenti al parto sono serviti perché i suoi studi non venissero interrotti. Il lieto finale successivo, dove una volta tanto vince la vita e il diritto e non l’abbandono e la prepotenza, è stato per noi un grande motivo di orgoglio», aggiunge ancora Chiodini. «Quando torneremo in Guatemala, l'anno prossimo, avremo una casa che ci aspetta per ospitarci: gli spazi della Clinica “San Jose” delle suore di El Rancho, dove si condivide la semplicità con gioia e in umiltà».

«Vorrei chiarire, però, che io non apprezzo né il termine volontario né quello di cooperante. La solidarietà per essere veramente tale non deve diventare sistema. Noi siamo una realtà pulviscolare, dove tutto si basa sul passaparola, sulle amicizie, sui rapporti personali. Ma ho già trovato un paio di “buoni samaritani” e due dei progetti sono già stati coperti», sottolinea Chiodini. Tra i suoi ispiratori (Papa Francesco, Naomi Klein, Sebastiano Vassalli in primis) cita anche l’autore di “Contro il non profit” Giovanni Moro (che ha stigmatizzato «il volontariato che diventa pretesto per smascherare affari terzi») e Valentina Furlanetto, che nel libro “L’industria della carità” parla del «sistema degli aiuti che foraggia se stesso e che automantiene la sua struttura fondata sul fatto che i bisogni dei poveri e dei deboli non debbano mancare mai e mai essere portati a soluzione». Chiodini preferisce rifarsi piuttosto all’esperienza del prete operaio Luisito Bianchi, erede di don Primo Mazzolari e per tanti anni cappellano delle Benedettine di Viboldone. Per questo ama definirsi “un atomo sulla bilancia”.

«Costituendo “Insieme per il Guatemala” abbiamo deciso di operare in un Paese tra i più impoveriti, sotto ogni aspetto, del sub-continente latinoamericano, che è meta dei nostri viaggi da diversi anni e dove conosciamo luoghi, visi, braccia, realtà che necessitano di un aiuto concreto», conclude. «Se proprio serve una definizione per quello che facciamo preferisco quella di “partigiani” o “azionisti” della solidarietà: persone che operano liberamente per creare nuovi spazi di avanzamento sociale.

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