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Economia & Impresa sociale 

Commercio mondiale, un crollo che fa riflettere

Il Wto ha previsto al ribasso le stime sugli scambi per l’anno in corso 2015: la crescita sarà del 2,8%, meno del 3,3% precedentemente stimato, facendo segnare la crescita più bassa sin dal 1982

di Monica Straniero

È un dato di fatto. Il commercio mondiale, vale a dire la somma delle esportazioni e delle importazioni di beni e servizi, che per quasi due decenni, e prima della crisi del commercio mondiale, è cresciuto ad un ritmo doppio rispetto all’economia reale, ha subito una battura d’arresto. L’organizzazione mondiale del commercio, Wto, ha infatti previsto al ribasso le stime sugli scambi per l’anno in corso 2015: la crescita sarà del 2,8%, meno del 3,3% precedentemente stimato, facendo segnare la crescita più bassa sin dal 1982. E avverte che se vengono realizzate le attuali proiezioni, il 2015 segnerà il quarto anno consecutivo in cui il commercio non guida più il Pil mondiale, ma semplicemente lo accompagna.

Per l’Organizzazione del Commercio Mondiale, le stime al ribasso riflettono una serie di fattori che hanno pesato sull'economia globale nella prima metà del 2015. Tra questi, il rallentamento più marcato del previsto dell’economia cinese, che per anni è stata spinta dagli Stati Uniti a diventare nel mondo la più grande economia, e di altri paesi emergenti. Ma a rendere le previsioni di crescita delle vendite mondiali non ottimistiche concorrono anche la stagnazione economica che coinvolge molti Paesi sviluppati, i costi non previsti legati alla crisi migratoria in Europa, il calo dei prezzi del petrolio e di altre materie prime e l’instabilità finanziaria che potrebbe arrivare da una decisione della Fed di alzare i tassi di interesse e non ridurre la produzione di valuta estera che potrebbe creare squilibri sui mercati internazionali.

Una situazione preoccupante secondo gli esperti del commercio mondiale che vedono, da sempre, negli scambi internazionali l’unica possibilità di crescita economica e nel protezionismo che si può manifestare sotto forma di vere e proprie guerre valutarie, un pericolo che rischia di spazzare via la ripresa economica. “In un momento di grande incertezza, specie in Europa dove le politiche di austerità hanno contribuito a deprime la domanda interna, il commercio mondiale riveste un ruolo cruciale per risollevare le prospettive di sviluppo e di riduzione della povertà”, si legge nel comunicato stampa dell’Organizzazione.

E se per decenni i paesi emergenti hanno trainato il boom economico globale e aiutato l’economia mondiale a far fronte alla crisi finanziaria, l’OMC prevede che siamo ad un giro di boa. Potrebbero essere infatti Europa ed Usa a compensare il rallentamento delle esportazioni dei Brics, vale a dire Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Dopo un lungo periodo di stagnazione e austerità che hanno ridotto a livello generale la spesa pubblica, i consumi e gli investimenti, l’Europa ha registrato la più rapida crescita delle esportazioni nel 2 ° trimestre del 2105 (2,7%), seguita dal Nord America (2,1%), dall’Asia (0,6%) dal Centro America e dal Sud America (0,4%). Qui in particolare hanno pesato gli sviluppi economici avversi in Brasile, colpito contemporaneamente da una crisi fiscale e da uno scandalo finanziario che ha coinvolto la più grande azienda del paese.

E adesso? Forse più semplicemente siamo entrati, come sostiene da tempo Dani Rodrik, professore prima a Harvard e ora all’Institute for Advanced Studies di Princeton, nell’era della iperglobalizzazione, un mercato dove i benefici del libero flusso di beni e capitali attraverso i confini nazionali sono già stati, per la maggior parte, realizzati. In sostanza i vantaggi sono ormai controbilanciati da enormi costi dovuti a disoccupazione, riduzione di salari, pensioni perse e comunità urbane che si stanno spopolando. Per Rodrik, «il libero mercato, e la generalizzata internazionalizzazione dell’economia, ha fallito nell’assicurare la prosperità attesa, confermando la sua inidoneità a gestire con efficienza ed efficacia i rischi connessi alla ciclicità dell’evoluzione dell’attività economica». A cui fa eco Joseph Stiglitz, uno tra i più rilevanti economisti mondiali, premio Nobel nel 2001 per le sue ricerche sulle asimmetrie informative che ostacolano il libero mercato, che da tempo prevede una caduta dell’economia globale.

Ma in principio e in fondo a qualsiasi ragionamento, ci dovrebbe essere la necessità di evitare, per quanto possibile, l’abbandono dei più deboli.


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