Solidarietà & Volontariato

Aleksievic, un Nobel visto da vicino

Sergio Rapetti, il suo traduttore e anche amico, racconta come nascono i docu-romanzi della scrittrice bielorussa. «Raccoglie centinaia di testimonianze, e non si discosta mai dalla loro verità»

di Giuseppe Frangi

Nessuno in Italia conosce Svetlana Aleksievic come lui. Nel senso che ne è il principale traduttore e quindi ha “convissuto” con i suoi libri e la sua scrittura. Sergio Rapetti nella sua lunga carriera ha tradotto decine di testi di letteratura e saggistica russa e sovietica dell’epoca del «dissenso», da Solženicyn a Sinjavskij a Šalamov, da Medvedev a Sacharov, a Tarkovski, per citarne solo alcuni. Svetlana Aleksievic la conosce da 15 anni, cioè da quando ha affrontato il suo libro più famoso Preghiera per Chernobyl. Poi sono venuti tutti gli altri, Ragazzi di Zinco, Incantati dalla morte, Tempo di seconda mano.

Svetlana Aleksievič è narratrice, ma non inventa mai le sue storie. Qual è il suo metodo di lavoro?

Lei lavora sulla base dei materiali che raccoglie. È meticolosissima, ascolta i testimoni a lungo, cerca di entrare in empatia con loro per non sovrapporre suoi pensieri ai loro sentimenti. Registra spesso su nastro o prende appunti. La sua è una narrativa che si appoggia di preferenza sulla voce dei testimoni, aderisce alla verità che raccoglie direttamente dalle loro voci. Ma più che aderire semplicemente al loro punto di vista è un’adesione alla persona che ha di fronte. Una condivisione di stato d’animo.

La sua narrativa è stata ribattezzata romanzo verità. Una formula che funziona secondo lei?

In parte. Forse è una formula che semplifica troppo, perché lei fa un’operazione più profonda: rispetta quello che è il racconto raccolto, ma dandogli una diversa tonalità cercando sempre delle immagini chiave. È scrittrice in senso completo, scrive in un russo molto bello. Viene ritenuta così affidabile che quando si è diffusa la voce che stava lavorando sulla sorte tragiche dei ragazzi spesso reclute inviati in Afghanistan per quello che sarebbe diventato Ragazzi di zinco, molte madri hanno iniziato a farle avere delle memorie scritte. È una catalizzatrice di storie. Ed è anche molto pudica. Nel senso che evita tutti di sollecitare dei dettagli che sposterebbero l’attenzione dal cuore delle vicende.

Quali sono gli scrittori a cui guarda?

In particolare Šalamov con i suoi racconti dai lager staliniani. Ma anche Dostoevskij è tra i suoi grandi autori di riferimento. In fondo lei parla della storia del destino di tanti piccoli uomini davanti alle macerie della grande utopia che è stato il comunismo, senza mai avere accenti distruttivi, tanto meno ironici. Il suo è uno sguardo che non giudica, perché lei stessa si sente parte di questa esperienza di “dolore offeso”.

È un Nobel un po’ anti Putin…

Decisamente lo è, anche perché lei stessa ha favorito questa lettura con le sue affermazioni molto combattive. Ma che fosse in aria di Nobel lo si era già capito lo scorso anno. È certamente una scrittrice molto valida e coraggiosa che ha meritato il Premio.

Rispetto a Putin gli intellettuali d’opposizione hanno un giudizio del tutto negativo che non ha fatto breccia nella stragrande maggioranze della popolazione.

Indubbiamente il popolo è dalla parte di Putin. Ha un 80% di consensi, perché le persone vedono in lui una sicurezza, un uomo forte contro il rischio di deriva nel caos. Putin è un uomo forte che rilancia la forza coesiva del patriottismo russo. Svetlana Aleksievič nel suo lavoro non fa sconti a livello di giudizio storico, ma riconosce di essere parte di quel popolo. Dice: “Io sono cresciuta negli stessi loro ideali e amo questa gente”. Questo spiega anche in molti casi il grado di intesa profonda che s’instaura tra lei e i tanti eredi dell’homo sovieticus che si confidano con sincerità.

Qual è il prossimo libro di Svetlana Aleksievič che leggeremo?

È quello sulla storia delle donne soldato sovietiche che sono state arruolate nella Seconda guerra mondiale. Uscirà per Bompiani. È un libro che affronta un altro capitolo mai raccontato in quel modo, e cioè dal punto dI vista delle donne e non degli uomini, la tragica storia sovietica e russa del XX secolo.

Ho scoperto la gioia che possono dare le cose più piccole, come un po’ di zucchero e un pezzetto di sapone. In una cella per cinque persone – trantadue metri quadri – eravamo in diciassette. Bisognava imparare a vivere in due metri quadri. La notte era il momento più brutto, non si riusciva a respirare. Non dormivamo molto. Parlavamo. I primi giorni di politica, poi soltanto d’amore

da “Tempo di seconda mano” di Svetlana Aleksievic

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