Cooperazione & Relazioni internazionali

Kunduz un mese dopo, MSF chiede la verità

«Anche la guerra ha delle regole. Noi vogliamo sapere se quelle regole sono cambiate», dice MSF. La dottoressa Castellano, che ha lavorato a Kunduz: «Un pensiero speciale ai nostri pazienti, bruciati vivi nei letti e ai miei colleghi eccezionali: siete morti per quello che eravate, eroi»

di Redazione

È passato un mese dall'attacco di ‪#‎Kunduz, quando l’ospedale di Medici Senza Frontiere – l’unico nel Nord-Est dell'Afghanistan – venne distrutto da un violento bombardamento. A un mese di distanza, il bilancio delle vittime è salito almeno a 30, tra loro 10 pazienti identificati, 13 operatori MSF identificati e 7 corpi ritrovati tra le macerie dell'ospedale non ancora identificati. Circa 300.000 persone sono rimaste senza assistenza sanitaria.

Tutti sapevano le coordinate dell’ospedale, eppure le bombe lo hanno colpito. «Anche la guerra ha delle regole. Noi vogliamo sapere se quelle regole sono cambiate. Per questo motivo, chiediamo al presidente Obama di accettare un'indagine indipendente sui bombardamenti a Kunduz da parte della Commissione d’Inchiesta Umanitaria Internazionale (IHFFC)», ripete da un mese Medici Senza Frontiere. La petizione #IndependentInvestigation su www.change.org/IndependentInvestigation ha già raccolto oltre 409mila firme. Oggi alle 11 ci sarà una manifestazione a Roma, all'Arco di Costantino, per ricordare le vittime di Kunduz e continuare a chiedere la verità su quanto accaduto quella notte del 3 ottobre. «Benvenuti al #RequiemConvenzioneDiGinevra. Bombardati ospedali in Afghanistan, Yemen, Siria. Difendiamo l'azione umanitaria», ha twittato solo pochi giorni fa Loris De Filippi, presidente di MSF Italia.

Oggi Medici Senza Frontiere ricorda le vittime con le parole di una dottoressa italiana, Cristina Castellano, ha lavorato al Pronto soccorso e nella Terapia intensiva dell’ospedale di Kunduz fino a una settimana prima dei bombardamenti.

«Ho passato tre mesi nel Centro Traumatologico di Kunduz, una cittadina nel nord dell’Afghanistan, teatro di violenti scontri militari. Qui le vittime di guerra, per incidenti stradali e di violenza di strada sono all’ordine del giorno, centinaia di pazienti di cui moltissimi sono bambini, vengono curati ogni giorno nel nostro ospedale. L’imparzialità, l’umanità, l’assenza di pregiudizio e la professionalità sono alla base del nostro soccorso.

Essere medici in queste situazioni significa mettere continuamente alla prova se stessi, sia fisicamente che moralmente, lavoravamo continuamente h 24 , 7 giorni su 7, ci confrontavamo con le continue difficoltà di quella gente oramai stremata. Siamo medici ma anche persone che hanno deciso di essere sul campo per aiutare le popolazioni più bisognose e in difficoltà, questo mette l’animo a dura prova.

Molti miei colleghi avevano meno di 30 anni, sono nati con la guerra e non hanno mai potuto lasciare il paese, non hanno mai visto e vissuto la pace, erano affranti per questo ed era il loro più grande sogno : LA PACE. Ogni volta che parlavo con loro il mio cuore piangeva in silenzio. Oggi, a un mese dall’attacco del nostro ospedale a Kunduz, che pone un interrogativo enorme sul dove la (dis)umanità si stia dirigendo, voglio dedicare un pensiero speciale ai nostri pazienti, bruciati vivi nei letti.

Oggi voglio ricordare i miei colleghi eccezionali: medici, infermieri e ausiliari. Grazie per il vostro impegno e dedizione. Siete morti per quello che eravate: eroi».


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