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Economia & Impresa sociale 

Leggi e economy provider. Ora l’economia collaborativa chiede attenzione

A Milano l’appuntamento SharItaly, di cui Vita è media partner, ha due scopi: fare il punto sullo stato dell’arte e superare la teoria per trovare nuove strade. Sul tavolo due proposte su tutte: una piattaforma di accredito unica, gestita a livello statale e la necessità di regolamenti

di Lorenzo Maria Alvaro

“Non solo app. L’economia collaborativa nelle aziende, nelle pubbliche amministrazioni e nel terzo settore”. È questo il titolo della terza edizione di SharItaly, la rassegna che ha come protagonista l’economia collaborativa di cui Vita è media partner. Inserita nel quadro della Collaborative Week, si svolge nel contesto dello spazio Ex Ansaldo, per la prima volta fuori dalle mura dell’Università Cattolica dove è nata.

Quest'anno Sharitaly ha un duplice scopo. Da un lato, come ogni anno, vuole fare il punto e contribuire al dibattito sull’economia collaborativa contestualizzandolo in Italia, dall’altro provare ad andare oltre la teoria portando l’economia collaborativa su un piano applicativo mettendo a confronto l’innovazione che arriva sia dalle start up che dalle aziende (profit e non profit) e dalle istituzioni e fornendo strumenti per far crescere conoscenza e competenza. Il secondo giorno è stato interamente dedicato al capire come l’economia collaborativa può essere applicata nelle aziende, amministrazioni e terzo settore.

«Per noi una regolazione sarebbe importante. Se hanno bloccato un operatore come Uber Pop, figurati noi», spiega Gian Luca Ranno il co-fondatore di Gnammo, start up italiana specializzata nel “social eating”. Per Ranno è arrivato il momento di una regolamentazione unica per tutte le attività della sharing economy. Con una legge, ma soprattutto con uno “sharing economy provider“. «Si tratterebbe di una piattaforma unica, gestita a livello statale, in cui tutte le piattaforme si dovrebbero accreditare». Sarebbe quella la sede, aggiunge, in cui chi partecipa a uno o più siti dovrebbe indicare tutti i propri redditi derivanti da queste attività. «Lì si dovranno gestire le posizioni fiscali di ciascuno, partendo dai codici fiscali». Tutto questo, spiega Ranno, è poco più di un’idea, anche se sono già stati individuati un paio di interlocutori a cui sottoporre la proposta».

Un’idea che punta a dare un prima risposta concreta ad un mercato altrimenti nuda di fronte alle rivendicazioni delle associazioni di categoria, come accaduto ad Uber Pop.

Per Andrea Crociani, responsabile marketing di Airbnb Italy invece è tutta una questione di regole. Crociani ha salutato come positiva la recente regolamentazione della Regione Lombardia, «perché impone una serie di obblighi, come il pagamento delle tasse di soggiorno». «Siamo molto felici che la Lombardia abbia fatto la regolamentazione, c’è bisogno di strumenti come questo» ha detto.

Insomma sul tavolo ci sono le prime idee ma la strada è ancora lunga. Quello che è certo è che da un lato gli attori dell’economia collaborativa hanno fatto un primo passo per abbandonare la semplice narrazione di un fenomeno per provare a dotarlo di strumenti e spalle larghe, dall’altro servono interlocutori, anche pubblici, che capiscono l’importanza e la potenzialità di un mercato.


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