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Dopo dieci anni le morti bianche tornano a crescere

Il presidente Franco Bettoni commenta i dati diffusi da Inail «Si aggrava l'allarme per la crescita delle morti sul lavoro. Che il tributo alla ripresa non sia "a spese" dei lavoratori». Rallenta, ma permane, il calo delle denunce degli infortuni

di Redazione

Le chiamano “morti bianche”, ma di candido in questo triste fenomeno non vi è nulla. Ed è un fenomeno che dopo dieci anni di riduzione, con il 2015 segna un allarmante segno più. A dirlo sono gli ultimi dati dell’Inail. «A soli due mesi dalla fine dell’anno, sembra ormai praticamente inevitabile che il 2015 sia destinato a rappresentare l’anno che segnerà una preoccupante inversione di tendenza nell’andamento di questo fenomeno. Una situazione che nel nostro Paese non si verificava dal 2006, anno in cui, peraltro, la crescita degli infortuni mortali fu molto più contenuta (+5,1%)», commenta il presidente dell’Anmil Franco Bettoni.

Bettoni (a fianco nella foto) osserva inoltre che a fronte del fatto che il numero complessivo degli infortuni sul lavoro continua a mantenere comunque un trend decrescente «molto di più preoccupa la crescita delle morti per incidenti sul lavoro che, proseguendo la tendenza iniziata già nei primi mesi di quest’anno, ha segnato un incremento del 18,6% delle denunce di infortunio mortale, passate dagli 833 casi dei primi dieci mesi 2014 a 988 nel 2015, in pratica ben 155 vite umane spezzate in più, e nel solo mese di ottobre 2015, rispetto allo stesso mese del 2014, i morti per il lavoro sono aumentati di ben il 74%, da 50 a 87 vittime».

La crescita dei decessi risulta particolarmente grave per quelli avvenuti in occasione di lavoro che sono aumentati di oltre 100 unità, passando da 628 a 729 casi (+16,1%), a seguito dell’elevata mortalità che in questi ultimi dieci mesi si è registrata nei settori ad alto rischio: trasporti e costruzioni. Dati che pur se ancora provvisori per il presidente di Anmil «non possono che destare allarme e profonda preoccupazione».

Sempre sul fronte dati occorre constatare come siano in crescita anche gli incidenti in itinere mortali che sono aumentati di ben 54 unità (da 205 a 259 pari al +26,0%). Un aumento che ha interessato sia gli uomini (+19%) sia le donne (+14,3%). Queste ultime, inoltre sono particolarmente soggette ai rischi insiti nel percorso casa-lavoro-casa per la peculiarità del loro molteplice ruolo in ambito sia familiare sia lavorativo

Sul piano territoriale, l’incremento degli infortuni mortali è stato molto intenso nelle regioni del Centro (+42,0%) e del Sud (+ 23,5%); mentre risulta inferiore alla media nazionale nel Nord Ovest e nel Nord Est, dove si registrano aumenti rispettivamente dell’11,8% e del 10,4%. Nelle Isole, in controtendenza rispetto alle altre aree del Paese, il dato si mantiene esattamente stazionario.
Le regioni più colpite sono la Toscana dove le morti sul lavoro sono aumentate del 63,2% (da 57 a 93), la Campania con un incremento del 62,5% (da 56 a 91) e l’Umbria con un +56,3% (da 16 a 25).

Per quanto riguarda gli infortuni in generale si rileva un calo delle denunce di circa 26mila unità (dai 549mila dei primi dieci mesi 2014 ai 523mila dell’analogo periodo 2015), pari a -4,7%: una flessione che risulta inferiore rispetto a quelle degli anni precedenti. «Ci si aspettava un calo più significativo, siamo di fronte, invece, ad un progressivo rallentamento della favorevole dinamica infortunistica che si era registrata negli ultimi anni continua il presidente Anmil.

«Dall’analisi di questi dati – resa possibile solo grazie all’importante lavoro svolto dagli Uffici statistici dell’Inail e che sento il dovere di mettere in luce in quanto gli unici ufficiali anche se provvisori -», sottolinea Bettoni «appare evidente che il maggior tributo in termini di vite umane viene fornito soprattutto da quei settori ad alto rischio che cominciano ad avvertire i primi segnali della ripresa economica. In questo senso non possiamo permettere che a pagare i costi della ripresa, ancora oggi, siano i lavoratori che rappresentano da sempre l’anello debole della catena produttiva».

In apertura foto di Joe Raedle/Getty Images