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Famiglia & Minori

Rodari: «Tanti non vogliono il cambio di passo che chiede Francesco»

Mentre il Senato si prepara alle prime votazioni del ddl Cirinnà continua la polemica sulla manifestazione romana in difesa della famiglia. Uno scontro che sta assumendo i toni più duri proprio all’interno del mondo cattolico. Ne abbiamo parlato con l'esperto di Chiesa e Vaticano, Paolo Rodari

di Lorenzo Maria Alvaro

Dopo le manifestazioni di piazza, ecco il Parlamento. Il Senato si prepara alle prime votazioni sul disegno di legge sulle unioni civili firmato da Monica Cirinnà (Pd). L’Aula di Palazzo Madama si esprime, prima della discussione generale e delle votazioni sugli emendamenti, sulle pregiudiziali di costituzionalità: un passaggio tutt’altro che formale visto che da molte parti si levano critiche sulla presunta incostituzionalità del testo. Le polemiche però sono tutto tranne che sopite e lo scontro, sempre più duro, vede come campo di battaglia in particolare il mondo cattolico, molto diviso sull’argomento. Vita.it ha intervistato con il vaticanista Paolo Rodari.

Partiamo da un dato: rispetto al Family Day del 2007 quello di questo sabato è stato molto più divisivo. Che differenze ci sono tra i due eventi?
Nel 2007 i vescovi fecero da regia. Lo scorso sabato non è stato così. La differenza l’ha fatta – anche se molto delle stagioni passate sembra sempre voler tornare – l’arrivo a Roma di Jorge Mario Bergoglio.

Alla luce del dibattito odierno e dell’introduzione nel ddl Cirinnà della Stepchild adoption sembra quasi ci sia del rimpianto per i Dico prodiani…
Il rimpianto credo sia condivisibile. Se fossero stati approvati i Dico avremmo oggi un Paese più civile.

Quello che in molti hanno sottolineato è che quella piazza era in qualche modo orfana di Bergoglio. Cosa sta succedendo all’interno del popolo della Chiesa?
Non so dire il Papa cosa pensi in merito. Anche perché interpretarlo in uno o nell’altro senso è sempre difficile. Credo comunque che l’arrivo di Francesco chieda alla Chiesa, quindi anche alla Chiesa in Italia, di cambiare passo. E credo tuttavia che molti questo passo nuovo non lo vogliano fare.

Come si spiega la scelta di Bagnasco di appoggiare la manifestazione?
Non mi sembra che la Cei abbia aderito alla manifestazione. La prolusione di Bagnasco al recente consiglio permanente e il comunicato finale sono stati molto prudenti. Poi, certo, nella Chiesa italiana alcuni vescovi sono favorevoli al Family Day. Ma in generale vi sono posizioni eterogenee.

Il leader della manifestazione Gandolfini però ha più volte citato la frase di Francesco contro la confusione tra famiglia e altre unioni. Si rende conto che senza il Papa il rischio è andare alla deriva?
Con o senza il Papa il mio parere è che questa testimonianza muscolare serva a poco. La Chiesa è chiamata a comunicare ciò che vive, e cioè il proprio rapporto personale con Cristo e non una propria idea di cristianesimo.

La strategia dello scontro frontale e dell’irruzione muscolare della Chiesa sui temi etici è storicamente perdente. Lo è stata sul divorzio, lo è stata sull’aborto e tutto lascia pensare che lo sarà anche sulle unioni civili. Ma allora perché insistere su questa strada?
Bisogna chiederlo a chi va in piazza. Secondo me al fondo manca la consapevolezza che lo Spirito di Dio vuole raggiungere tutti senza imporsi. E ama anzitutto i lontani mentre fugge da chi ritiene di avere la verità in tasca.

La difesa della famiglia tradizionale passa veramente attraverso questo scontro? Cioè il bene della famiglia oggi è minacciato dalle unioni civili?
Non credo proprio. Non c’è nessuna minaccia. Semplicemente ci sono tante persone che chiedono diritti. Nel merito bisognerebbe rispondere caso per caso, valutare ogni situazione, parlare con le coppie omosessuali che desiderano un figlio e anzitutto ascoltarle cercando di comprendere fino in fondo questo stesso bisogno. Nel concreto, poi, concordo con Paolo Prodi: la legge deve dare una cornice. Mentre caso per caso potrebbe intervenire un magistrato.

Perché i cattolici faticano sempre più a partecipare ai processi decisionali confinandosi su posizioni di marginalità e contrapposizione. Su un tema come quello delle unioni civili era ed è così impensabile negoziare una mediazione?
I cattolici che si pongono su posizioni marginali e di contrapposizione lo fanno a mio avviso per paura del confronto. Il cattolico, nel senso più profondo del termine, è persona aperta agli altri.

Come ricordava a Vita.it Alberto Melloni ogni battaglia politica ha bisogno di alleanze politiche. È così che si spiega la presenza spalla a spalla di cattolici e realtà, come Casa Pound e Forza Nuova, apertamente fasciste?
Ha ragione Melloni. Anche nel 2007 il Family Day fu di fatto uno scontro aperto fra il centro destra e il governo di Prodi, con la Chiesa – con tutte le conseguenze che ne seguirono poi – schierata da una parte.

Nel caso il ddl Cirinnà dovesse essere affossato in Parlamento sarebbe un vittoria del Family Day o solo l’andata di un match che si propone di tornare ancora più aspro e con l’asticella dei diritti sempre più alta?
Non sarebbe una vittoria. E senz’altro il problema non sarebbe risolto. Purtroppo un serio confronto non c’è stato. Mentre ce ne sarebbe ancora bisogno.

Leggi anche. «Diritti sì, ma la Cirinnà non convince». Dialogo con Adriano Pessina


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