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Bob Marley: quando il bene andava al ritmo di reggae

L'artista giamaicano, scomparso l'11 maggio del 1981, lascia un patrimonio immenso. Artistico e di royalties. Molti dei diritti d'autore delle sue canzoni vengono devoluti dagli eredi in aiuto e assistenza, continuando l'opera di uno dei più grandi filantropi della musica. Fu lui a donare i diritti di "No woman no cry" a una mensa per poveri, gestita da un suo amico d'infanzia.

di Marco Dotti

Trentacinque anni fa lasciava questa terra Robert Nesta Marley, al secolo e per tutti Bob. Che cosa dire della sua musica? Nulla, parla da sé. Meno conosciuto – forse – l'impegno etico di un artista che ha saputo come pochi muovere l'immaginario e al tempo stesso smuovere le coscienze al bene.

Artista dagli incassi stellari, veniva da e viveva in un mondo dove la beneficenza non poteva permettersi il lusso di ridursi a marketing o a serate di gala. Marley fu tra le prime star a muovere le folle in Africa, cercando con la sua musica di ricomporre i conflitti che la politica cinicamente apriva. Nessuno ha donato quanto Marley e nessuno ha innestato processi generativi quanto l'artista giamaicano. A muoverlo era una visione dell'uomo, della Terra e dello spirito. La stessa che traspare da hit song come "One love".


Money can't buy life”: il denaro non compra la vita. Queste le ultime parole di Bob al figlio Ziggy. Di denaro, Marley ne guadagnò tantissimo e ancora oggi musica e merchandising legati al suo nome e alla sua musica ne fanno una delle più durature icone del XX secolo o, forse, di sempre. Ciò che Marley non fece fu trasformarsi in un trombone gonfio di retorica e soldi. Forse per questo la sua immagine e la sua opera di charity – presa in mano dagli eredi, dopo una lunga controversia giudiziaria con le multinazionali discografiche – resiste e rilancia.

Medaglia per la Pace delle Nazioni Unite nel '78, a un giornalista che gli chiedeva: «come ci si sente a essere un eroe della gente del Terzo mondo?», Marley rispondeva, «non ci sono eroi, ma uomini».


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