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Mosul: continua l’inferno per i civili

Sarebbero 21mila i profughi costretti a lasciare le proprie case durante le operazioni per la ripresa della roccaforte dell’Isis. L’orrore però non ha solo la bandiera di Daesh, Amnesty International ha registrato violazioni dei diritti umani anche tra i miliziani della tribù Sab’awi

di Redazione

Hanno fermato la loro avanzata, le forze speciali irachene, nella parte est della città di Mosul, nella battaglia decisiva della guerra all’Isis in Iraq, sicuramente una di quelle con le conseguenze più pesanti per i civili. Basti pensare che, secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, sarebbero 21mila i profughi, costretti a fuggire dalle proprie abitazioni, in seguito alle operazioni iniziate lo scorso 17 ottobre, per la ripresa di Mosul. 3mila persone in più rispetto a ieri.

Nei quartieri della città dove sono entrate le forze speciali, sarebbe stato indetto un coprifuoco, per permettere di consolidare la propria presenza sul territorio.

Secondo l’Associated Press, nella prossima fase, le truppe irachene dovranno combattere di quartiere in quartiere, di casa in casa, cercando di risparmiare i civili ancora presenti in città, si calcola circa un milione di persone.

Nel frattempo continua a crescere la preoccupazione per i civili, dopo i racconti delle stragi di massa e dell’utilizzo di uomini, donne e bambini come scudi umani da parte dell’Isis.

L’orrore però non si trova sotto la bandiera nera di Daesh.

I ricercatori di Amnesty International hanno denunciato le rappresaglie da parte dei miliziani della tribù Sab’awi, nei confronti degli abitanti di villaggi vicino a Mosul, sospettati di avere legami con lo Stato islamico. Secondo Amnesty, i miliziani, avrebbero arrestato e torturato uomini e ragazzi nei villaggi a sud-est di Mosul. Le vittime sarebbero state percosse con sbarre di metallo, sottoposte a scariche elettriche e persino chiuse in gabbia.

“Non c’è dubbio che i membri dello Stato islamico sospettati di aver commesso azioni criminali debbano essere chiamati a risponderne, attraverso processi equi. Ma radunare gli abitanti di un villaggio e costringerli a subire umiliazioni o violazioni dei diritti umani inclusa la tortura non è il modo per dare giustizia, verità e riparazione alle vittime dei crimini dello Stato islamico”, ha dichiarato Lynn Maalouf, vicedirettrice per le ricerche dell’ufficio regionale di Amnesty International di Beirut. “Abbiamo chiare prove che la milizia della tribù Sab’awi abbia commesso crimini di diritto internazionale tra cui maltrattamenti e torture ai danni degli abitanti dei villaggi della zona del Qati’ al Sab’awiin, per vendicare crimini commessi dallo Stato islamico”.

Secondo Amnesty, le violazioni sarebbero avvenute nei villaggi di al-Makuk, Tal al-Sha’eir e Douizat al-Sufla, sulla riva sud-orientale del fiume Tigri in una zona conosciuta come Qati’ al-Sab’awiin (Settore della tribù Sab’awi).

Il villaggio di al-Makuk è stato ripreso dalle forze irachene il 20 ottobre. I combattenti della tribù Sab’awi sono entrati prima delle forze regolari ma dopo che lo Stato islamico si era ritirato. Per Amnesty non vi sarebbe stato alcuno scontro armato che avrebbe giustificato la rappresaglia. I miliziani, che peraltro condividono coi residenti la medesima appartenenza tribale, hanno immediatamente iniziato a radunare uomini e ragazzi.

Un testimone oculare ha riferito che sei miliziani hanno trascinato “Ahmed” (la cui vera identità è protetta per motivi di sicurezza) fuori dalla sua abitazione, hanno accusato suo fratello di far parte di Daesh (l’acronimo arabo dello Stato islamico) e lo hanno picchiato brutalmente di fronte alla moglie e ai figli.

“L’hanno preso a calci e pugni, colpito tre volte con un congegno elettrico e col calcio dei Kalashnikov, con cavi metallici e con un tubo di gomma per innaffiare” – ha detto il testimone, aggiungendo che dopo il pestaggio “Ahmed” non riusciva a stare in piedi. “Non hanno alcun comandante. Ogni miliziano ha la sua vendetta personale da eseguire. Legavano le persone al cofano delle automobili e percorrevano le vie del villaggio urlando frasi come ‘Venite a vedere i daeshi che hanno fatto la spia su di me e su mio padre!’”.

Secondo alcuni residenti, la milizia tribale ha agito per vendicare la morte di suoi membri uccisi dallo Stato islamico ma sussisterebbero anche ragioni di inimicizia storica non collegate all’attuale conflitto. Le milizie della Mobilitazione tribale, composte da combattenti delle tribù sunnite, hanno assunto un ruolo sempre maggiore nella lotta contro lo Stato islamico e nella messa in sicurezza delle zone riconquistate. Pur se meno potenti delle Unità di mobilitazione popolare a maggioranza sciita, alcune tribù sunnite ricevono a loro volta sostegno dal governo.

In passato, Amnesty International ha documentato crimini di guerra e altre violazioni dei diritti umani – tra cui sequestri, esecuzioni extragiudiziali e altre uccisioni illegali, torture e distruzione di abitazioni – ad opera delle Unità di mobilitazione popolare.

Foto: BULENT KILIC/AFP/Getty Images


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