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Il lavoro precario? È come pedalare senza sella

Il film “In Bici senza sella” nato da un’idea di Alessandro Giuggioli e firmato da sette giovani registi che affronta in chiave ironica e grottesca la questione del precariato ha vinto il Toronto Independent Film Award 2016

di Monica Straniero

Di questi tempi si parla molto di giovani e lavoro. Si parla di Neet, not (engaged) in Education, Employment or Training. I giovani che non studiano, né vanno a scuola, né seguono corsi di formazione in Italia sono più di 2, 2 milioni, con un costo per perdita di produttività di oltre 35 miliardi di euro, cifra che corrisponde al 2% del Pil.

Poi ci sono gli Eet, Eeet employed-educated and trained, cioè i giovani istruiti e formati che hanno sfidato la crisi e si sono messi in proprio. Secondo una recente ricerca del Censis, commissionata da Confcooperative, oggi i titolari d'impresa giovani tra i 18 e i 29 anni sono 175mila con un giro d’affari di 46,5 miliardi di euro, pari al 2,8% del Prodotto interno lordo.

E poi c’è la generazione dei precari. Un esercito di lavoratori malpagati e senza tutele, inventori di quotidiani espedienti per cercare di sopravvivere in un Paese dove stando ai dati diffusi lo scorso 2 novembre dall’Istat la disoccupazione giovanile è salita al 39, 2%.

Un tema, quello del precariato, che ricorre sempre più spesso nel cinema contemporaneo. Il 3 novembre è arrivato nelle sale italiane, la commedia ad episodi, “In Bici senza sella. Ricette anticrisi e altri esercizi di sopravvivenza” recita il sottotitolo di un progetto che ha vinto il Toronto Independent Film Award 2016 come miglior lungometraggio.

Il film nato da un’idea di Alessandro Giuggioli e firmato da sette giovani registi, affronta in chiave ironica e grottesca la questione del precariato.

Un disagio che non è solo economico relativo all’impossibilità di crearsi una propria indipendenza, la quale vincola ogni progetto futuro, ma anche psicologico perché rischia di mettere in discussione le proprie certezze esistenziali.

«Abbiamo voluto raccontare le difficoltà di trovare lavoro dal punto di vista di chi lo cerca, ma senza piangerci addosso», sottolinea Giuggioli. «Siamo una generazione di acrobati e trasformisti, abituati a pedalare senza sella su una strada che si fa sempre più in salita per raggiungere la cima».

Che nel film è il fatidico posto fisso. Un sogno irraggiungibile per cui si è disposti a sottoporsi a qualsiasi tipo di prova. Nel primo episodio, “Santo Gral”, due giovani cercano di sopravvivere svuotando cantine, ma quando trovano il calice dell’immortalità preferiscono cederla ad un vecchietto in cambio della pensione. «Perché augurare vita eterna a un precario è come augurare un’eternità di “le faremo sapere”, di lavoro in nero, di contratti di collaborazione o a tempo determinato», spiega il regista Giovanni Battista Origo

In “I precari della notte”, di Sole Tonnini e Gianluca Mangiasciutti, un rifacimento de i Guerrieri della notte di Walter Hill, bande di precari, cassaintegrati e lavoratori in nero sono costretti a farsi goffamente la guerra per pochi spiccioli, insensibili e indifferenti ciascuno alle identiche ragioni degli altri

Curriculum Vitae” di Matteo Giancaspro, è invece la storia di un ragazzo altamente qualificato che dopo l’ennesimo colloquio di lavoro in cui si sente dire che ha troppi master, troverà un rimedio tragicomico per combattere la crisi. Il precariato al femminile in Crisalide, di Cristian Iezzi e Chiara De Marchis, dove la protagonista finge di essere bulimica per nascondere una gravidanza che potrebbe mettere a rischio il posto di lavoro. Poi c’è chi è stato appena licenziato e vive di nascosto a casa del suo ex datore di lavoro in “Il “Parassita”, di Francesco Dafano.

Infine il sesto e ultimo episodio, “Il posto fisso”, di Sole Tonnini, racconta il viaggio di due quarantenni verso il tanto anelato contratto a tempo indeterminato. Sulla loro strada personaggi precari e bizzarri, tra cui venditori di biglietti per colloqui di lavoro e raccomandati di turno.

Ma una volta raggiunto il traguardo si è veramente felici? Una risposta assoluta non c’è almeno fino a quando il posto fisso rimarrà in Italia l’unica speranza per una vita dignitosa.


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