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Senza un piano di sviluppo del Paese i giovani sono condannati all’inutilità

Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia nella Facoltà di Economia dell'Università Cattolica di Milano, intervistato da Vita.it analizza il dato sulla disoccupazione giovanile che è tornata al 40% in crescita

di Lorenzo Maria Alvaro

Il tasso di disoccupazione a dicembre è rimasto stabile in Italia attestandosi al 12 per cento (in crescita però dall'11,6 del dicembe 2015). Suona ancora, invece, l'allarme per quanto accade ai più giovani.

Il tasso di senza lavoro tra i 15 e i 24 anni è risalito a dicembre superando la soglia del 40%. Si è portato per la precisione al 40,1%, in aumento di 0,2 punti su novembre e al livello più alto da giugno 2015.

Per provare a capire come mai, nonostante tutti gli sforzi e le riforme, in Italia il tema dei giovani sul lavoro continui ad essere un grave problema abbiamo chiesto a Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia nella Facoltà di Economia dell'Università Cattolica di Milano.


La disoccupazione generale al 12% è alta ma tutto sommato accettabile. Il 40% tra i giovani invece è una quota monster. Cosa significa?
Il 12% è comunque un dato importante ma ci può stare visto il periodo di crisi da cui uscire, in più non è una quota lontana dalla media degli altri paesi Ue. Il 40% invece parla di un tema giovani che noi non riusciamo a da affrontare nel verso giusto. È come se fossimo in labirinto da cui non riusciamo a uscire. Anche quando pensiamo di aver imboccato la strada giusta torniamo al punto di partenza. Questo nonostante l’impegno migliore di questi ultimi anni.

Che cosa c’è dentro a questo 40%?
Sono giovani che cercano lavoro. E la cosa grave è che non rappresenta la platea di tutti i giovani. Mancano gli scoraggiati. Cioè quella quota dei neet che non compare tra i disoccupati. Il rischio più grave è che questa quota si cronicizzi. Di certo il dato dice che c’è qualcosa che non funziona. Ma noi non riusciamo a capire cosa sia a non funzionare.

Come si può comprendere meglio il fenomeno secondo lei?
Il dato va incardinato in uno scenario più ampio. Che lo rende purtroppo anche più preoccupanti. Basti pensare che noi abbiamo un numero esiguo di giovani vista la crisi demografica. Oltre a questo sono anche meno formati, siamo sotto la media europea per numero di laureati. Quindi abbiamo pochi giovani e poco formati. Eppure per assurdo è come se per il nostro sistema fossero comunque troppi.

Il ministro Poletti ha cercato di guardare il bicchiere mezzo pieno. Ha spiegato che «La forte diminuzione degli inattivi (478mila in meno) vede infatti una significativa crescita degli occupati (242mila in più) e l’aumento anche delle persone che cercano attivamente lavoro (144mila in più)». Come si spiega?
Deve farlo. Quello che dice è vero. Ma non può essere una consolazione. Rimane il fatto che le aziende continuano a non assumere giovani se non in una logica di risparmio sui redditi. La politica intanto non interviene per cambiare le condizioni del sistema. I giovani, in effetti, sono gli unici che cercano di reagire in qualche modo. Come? Cercando di accettare quello che trovano, mettendosi sul mercato e adattarsi al ribasso. Molti poi spesso accettano di andare via. Il loro dilemma è essere consapevoli di diversi adattare ma terrorizzati che l’adattamento diventi definitivo.

Cosa intende con cambiare le condizioni del sistema?
Significa cambiare approccio. Dobbiamo smetterla di costringere i giovani ad adattarsi ma cominciare a pensare un modello di sviluppo del Paese nel quale dare un ruolo alle nuove generazioni per produrre quella crescita che vogliamo e di cui abbiamo bisogno. Serve un piano di sviluppo che sappia dove vuole che l’Italia sia fra 5/10 e 20 anni. E in base agli obbiettivi stabilire il ruolo dei giovani per farli diventare il motore dello sviluppo. Altrimenti saranno sempre soggetti ai margini e non centrali. Senza questo Piano abbiamo un Paese fermo, che vive di rendite e status quo. E soprattutto che non sa che farsene dei giovani. Senza un piano l’Italia sarà un Paese in cui i giovani sono inutili.


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