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L’equivoco del rap a Sanremo

Si parte da lontano con la partecipazione del 1997 dell’allora Mikimix aka Caparezza fino al 2008 con Frankie Hi Nrg. Nel mezzo, era il 2001 sbarca all’Ariston Eminem. E intanto da Clementino a Rocco Hunt, passando per Ics e il Raige di quest’anno l’hip hop ormai è una consuetudine del Festival. Ma delude sempre perché viene sempre liofilizzato

di Lorenzo Maria Alvaro

Era il 1997. Si potrebbe identificare in quell’edizione il vero sbarco del rap al Festival di Sanremo. Sul palco con il brano “E la notte se ne va” c’è Mikimix al secolo Michele Salvemini. Il capitolo più oscuro dell’artista oggi conosciuto come Caparezza.

Per vedere un vero big del rap italico all’Ariston bisogna invece aspettare il 2008 quando ad esibirsi arriva Frankie Hi Nrg con “DePrimoMaggio”.

Nel mezzo è il turno dell’ospitata di Eminem che nel 2001 sbarca in Italia per un medlay che viene funestato dalla censura che gli impone di ripulire tutti i testi dalle parolacce.

Pian piano l’hip hop diventa di casa al Festival di Sanremo con i vari Clementino, Rocco Hunt, Ics o le interpretazioni di queste ore d Raige e dell’equivoco Nesli.

Un rapporto però, quello tra Sanremo e genere rap, che ha sempre vissuto di un misunderstendig. Nell’esigenza di rendere il genere d’assalto delle periferie comprensibile e accessibile a tutti, si è scelto di trasformarlo in una melassa di parole banali, innocue e quindi inutili.

Il problema però è che se nel caso di altri generi, come ad esempio il rock, si tratta di un’operazione fattibile. Far virare il rap verso il pop invece è molto più rischioso. O almeno lo è se invece di invitare chi sostanzialmente già ha fatto di questo mutamento il proprio core business artistico (come ad esempio Fedez, Club Dogo o J Ax) si piega a questo cambiamento chi invece viene da una storia di genuina esperienza rap.

Viste le canzoni di gente come Clementino o Rocco Hunt su quel palco non si direbbe vengano dall’underground e invece è proprio così. Lo stesso vale per Raige, che con Ensi e Raiden ha formato una delle band hip hop più amate e importanti in italia, i One Mic.

Il problema è che in Italia il rap è un genere che ha sempre vissuto questo tipo di difficoltà. Mentre infatti nel resto del mondo (in particolare Francia e Stati Uniti) ad andare sui palcoscenici importanti sono stati entrambe le strade, quella più popolare e divertita e quella più tradizionale e rabbiosa, qui tutto ciò che non è omologato e innocuo rimane negli scantinati. Per cui gente come Fat Fat Corfunk, che dimostra come anche qui sia possibile fare rap sociale, si perde nel mare magnum della rete ed è destinato all'oblio

O uno come Egreen, la prova vivente del fatto che anche noi siamo in grado di fare questo genere ad un altissimo livello, si affida al crowdfunding per prodursi il disco.

Anche rapper che strizzano al mainstream pur restando indipendenti, come Salmo e Noyz Narcos, sembrano in qualche modo troppo “contundenti” per Sanremo e per il mercato generalista italiano. Non è un caso che tutto il settore si sia autorganizzato in etichette.

Non significa che non vendano e non facciano business. Al contrario, è il settore musicale più vivace e in crescita. Ma vive di questa difficoltà culturale difficlmente interpretabile e comprensibile. La certezza è che è ancora lontano il momento in cui sarà possibile vedere su quel palco qualcuno, che pur scendendo a patti con le regole e le consuetudini del Festival (come hanno fatto su generi diversi gente come Subsonica e Bluvertigo), i valori e la genuinità del rap.


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