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Cecile Kyenge: “Io sto al fianco delle ONG”

"Fare luce sì, ma la verità va detta forte e chiara: quella che è in atto da settimane è un’operazione politica sistematica di discredito nei confronti delle ONG, attraverso il più classico armamentario della ‘cultura del sospetto’". Così' l'eurodeputata del Gruppo dei Socialisti e Democratici europei, Cecile Kyenge, in un'opinione per Vita.it

di Cecile Kyenge

Si faccia luce, se ci sono singole responsabilità rispetto al dovere di massima trasparenza dell’azione delle ONG, ma la verità va detta forte e chiara: quella che è in atto da settimane è un’operazione politica sistematica di discredito nei confronti delle ONG, attraverso il più classico armamentario della ‘cultura del sospetto’. Un'operazione politica non casuale né innocente. Un’operazione che ha uno scopo politico manifesto, anche se non dichiarato: mettere in discussione il primato del salvataggio delle vite umane in mare, senza nemmeno il coraggio di metterci la faccia, per ‘cattiva coscienza’. Perché questo fanno ogni giorno le ONG: salvare vite umane in mare, a migliaia, supplendo al vuoto lasciato dalle istituzioni e dalla politica.

La 'cultura del sospetto', frutto di un vuoto non occupato dall'Europa

Mentre l’opinione pubblica viene ‘distratta’, quasi cloroformizzata, dalla ‘cultura del sospetto’, anche questo inizio del mese di maggio è stato segnato dalle ennesime stragi. Vite perdute. Donne, uomini e bambini, 200 esseri umani solo la settimana scorsa che, nel tentativo di trovare la salvezza dall’inferno libico, si sono affidati ai trafficanti di morte per attraversare il Canale di Sicilia, approfittando di giornate di mare calmo. Vite salvate. Negli stessi giorni, più di 2.000 persone sono state tratte in salvo dalle loro imbarcazioni fatiscenti, 700 di loro grazie all'impegno di Medici Senza Frontiere. Stando ai dati del 2016, sono ben 46.796 i salvataggi in mare compiuti dalle Ong, 36.084 quelli compiuti dalla Marina militare, 35.875 dalla Guardia Costiera, 13.316 da Frontex (escluse le unità italiane), 13.888 dai mercantili privati.

E' in corso un'operazione politica sistematica di discreto per mettere in discussione il primato del salvataggio delle vite umane in mare, senza nemmeno il coraggio di metterci la faccia.

La 'cultura del sospetto' mette nel mirino non a caso le ONG. I dati mostrano un vuoto non occupato dall’Europa, dopo la missione di Mare Nostrum, avviata dall’Italia nel 2013 e cessata a fine 2014. Senza l’intervento delle navi delle Ong, la conta dei morti in mare sarebbe, ogni giorno, di gran lunga più alta. Dall’inizio di questo 2017 le vite perdute, vittime di questa silenziosa ecatombe, sono state già 1089. Quelli che conosciamo. Per loro, la salvezza, ciò che alcuni politici hanno chiamato “taxi”, non è arrivata. Non c’era conferma del numero effettivo delle di morti in mare. Una moltitudine di uomini, donne, bambini e mai nati, che semplicemente scompariva, inghiottita dalle acque, senza che nessuno ne reclamasse il corpo. Di quel numero, il cui significato è bene ricordare ogni giorno, esisteva solo una stima, grazie alle rare testimonianze dei sopravvissuti.

Una presenza indispensabile per salvare vite umane

Oggi la presenza delle ONG in quell’area di mare funge da guardiano, apre gli occhi. Chi mina questa vigile ed attiva presenza, vuole nei fatti mettere in discussione il primato del salvataggio delle vite umane in mare. Mentre la presenza delle ONG nel cuore del Mediterraneo è una denuncia quotidiana e manifesta del vuoto lasciato dalle istituzioni. Il bilancio di morte del 2016 ha contato ben 5mila vittime nel Mar Mediterraneo. L’area di pattugliamento stabilita da Frontex costringe le navi ad impiegare dalle 6 alle 10 ore per rispondere ad una richiesta di soccorso. Ed è proprio in questo vuoto che le Ong si collocano.

I dati mostrano un vuoto non occupato dall’Europa, dopo la missione di Mare Nostrum, avviata dall’Italia nel 2013 e cessata a fine 2014.

La procura di Trapani ha aperto un’indagine a carico di alcuni membri di Ong, con l’ipotesi di reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Un reato che si configura quando si favorisce l’ingresso nel territorio di cittadini stranieri in violazione delle norme sull’immigrazione. Il paradosso giuridico però si consuma quando questa ipotesi di reato si scontra con il diritto e il dovere primario (anche legale) di trarre in salvo chi si trova in pericolo di vita in mare, perché la vita umana viene sempre prima di tutto. La lotta senza quartiere dovrebbe essere contro i trafficanti di morte, non contro chi si batte per la vita. Se c’è una necessità ed una responsabilità della politica e delle istituzioni, è quella, sulla base dell’esperienza di questi anni, di riempire i vuoti e di tutelare meglio, sotto tutti i profili, l’attività di assistenza umanitaria svolta dalle ONG, ben distinta dall’azione di contrasto degli scafisti.

E’ quello che ho detto nei giorni scorsi intervenendo nel dibattito seguito alla presentazione del rapporto della Commissione Europea sull’applicazione della Direttiva europea relativa al contrasto del favoreggiamento dell’immigrazione illegale, approdato alla Commissione Libertà civili giustizia e affari interni (Libe) del Parlamento Europeo di cui faccio parte. Un dibattito propedeutico ad una possibile revisione della Direttiva. Un revisione che deve guardare al vero nemico: gli scafisti.

Il paradosso giuridico si consuma quando l'ipotesi di reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina si scontra con il diritto e il dovere primario (anche legale) di trarre in salvo chi si trova in pericolo di vita in mare.

Proteggere le ONG, non criminalizzarle

Sono intervenuta in Commissione per ribadirlo: l’attività delle ONG è fondamentale e semmai va meglio protetta, non criminalizzata. E’ assurdo e allucinante, ho detto, gettare sospetto su chi salva vite umane, mentre l’obiettivo dovrebbe essere colpire gli interessi delle organizzazioni criminali ed agire su quelle condizioni che negli anni hanno reso possibile che il Mediterraneo si trasformasse in un enorme cimitero senza lapidi. Colpire chi fa del traffico di essere umani un ricatto costante che pende sulla politica europea. Oggi le ONG strappano vite al mare e le restituiscono al mondo, questa è l’unica verità conclamata, che brilla fra tanti sospetti senza prove.

Ogni giorno che passa è sempre più chiaro, per chi lo vuol vedere, che non sono le ONG a dover essere messe sul banco degli imputati, nel processo mediatico a cui stiamo assistendo, ma la disumanità di chi ha cavalcato il sospetto nei loro confronti per un pugno di voti in più. Ho incontrato poco meno di un mese fa il Procuratore Zuccaro, prima che questa ‘campagna’ montasse sulle sue parole: un incontro con lui a porte chiuse insieme alla delegazione della mia Commissione parlamentare LIBE, impegnata in una missione di studio in Sicilia, un incontro riservato i cui contenuti, ci è stato chiesto, dovevano rimanere giustamente tali. Riservati. Non so, e m’interessa poco, disquisire perché poi Zuccaro abbia scelto un’altra strada. Non me la prendo con Zuccaro, perché guardo la luna, non il dito: non spetta alla politica giudicare i magistrati che, certo, mi aspetto parlino soprattutto attraverso processi e sentenze.

Non sono le ONG a dover essere messe sul banco degli imputati, nel processo mediatico a cui stiamo assistendo, ma la disumanità di chi ha cavalcato il sospetto nei loro confronti per un pugno di voti in più.

ONG e i migranti vittime di una lotta senza scrupoli per il potere

Ad oggi, come ci ha detto già in quella sede riservata Zuccaro, non ci sono elementi processualmente utili che possano suffragare alcuna delle accuse mosse contro le Ong. Né, possiamo aggiungere ora, esistono fantomatici “dossier” segreti, evocati da alcune forze politiche (un sempreverde della ‘cultura del sospetto’). Ciò che sappiamo, fino a prova contraria che al più porterebbe a responsabilità individuali, è che le ONG intervengo a salvare vite umane sotto il costante coordinamento della Guardia Costiera. Ma alcune forze politiche hanno fatto del sospetto il loro principale strumento di propaganda politica, tanto da provocare e legittimare pericolose conseguenze. Una di queste è l’assalto condotto da Forza Nuova, nei giorni scorsi a Roma, contro il locale ufficio dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim).

L’intento è chiaro: cavalcare l’onda, in una competizione elettorale al ribasso fra due forme di populismi, uno di matrice razzista, l’altro di matrice qualunquista, accomunati dal non avere alcuno scrupolo di toccare il fondo e poi, se utile, cominciare a scavare. Due populismi accomunati in questo caso dalla pavida viltà di non voler proferire la verità: le ONG innanzitutto assicurano il primato della vita umana. Di fronte a questo “salto di qualità”, di fronte a questo ultimo assalto alla verità da parte dei populismi ora alleati, dobbiamo innalzare più alta di prima la bandiera dell’appartenenza ad una comune umanità, con una sola parola universale impressa: fratellanza.

Cécile Kyenge è deputata del Gruppo dei Socialisti e Democratici europei, membro della Commissione per le Libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE) e della Commissione Sviluppo (DEVE) presso il Parlamento UE. E' inoltre vice Presidente dell'Assemblea Parlamentare Paritaria UE-ACP (Africa, Caraibi e Pacifico).


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