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Welfare & Lavoro

Gli invalidi in cucina? Preparano il proprio futuro

Storie di ordinaria quotidianità, come molte di quelle che l’Anmil, l’Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro, raccoglie ogni giorno. Le abbiamo raccolte sul numero del magazine in distribuzione

di Alessandro Borelli

La frase è dello chef stellato Heinz Beck, tedesco d’origine ma che ha trovato nelle prelibatezze italiane motivo d’ispirazione e successo, e invita a qualche riflessione: «Cucinare non è mangiare. È molto di più. Cucinare è poesia». Tra i fornelli sono nate passioni e grandi rivalità. Ma c’è anche chi, fra i tegami, ha ritrovato la speranza e, forse, una nuova ragione di vita. Sono storie di ordinaria quotidianità, come molte di quelle che l’Anmil, l’Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro, raccoglie ogni giorno.

Le ripartenze

Tre di loro, tutti residenti nel Sud d’Italia, in particolare ci hanno colpito: li abbiamo soprannominati i “maestri del buon mangiare”. I loro nomi? Filippo Di Leonardo, 58 anni, di Campofelice di Roccella, in provincia di Palermo; Nicola Cinà, anche lui palermitano; Saverio Caradonna, 43enne pugliese di Molfetta (Bari). I primi due hanno contribuito alla realizzazione del libro “Racconti di cucina”, pubblicato dall’Inail di Palermo in collaborazione con l’Istituto Don Calabria-Progetto per la famiglia.

Fare lo chef è sempre stata la mia grande passione. Non ho mollato nemmeno dopo l’amputazione della gamba

Filippo Di Leonardo

Ognuno di loro ha attraversato il tunnel dell’infortunio sul lavoro: un attimo, e la vita che cambia all’improvviso. «Ho sempre lavorato come chef, la mia grande passione», racconta Di Leonardo, che è sposato e ha una figlia. Poi, a seguito di un grave incidente, ho subìto l’amputazione di una gamba e così ho dovuto ricominciare daccapo. «Ma non mi sono arreso». C’è l’imponderabile anche nella biografia di Cinà che, nel 1991, debutta come pasticcere e rammenta, di quell’esperienza, «i colori delle mie vetrine e il profumo di buono che si spargeva nell’aria». Un incidente stradale, mentre si reca al lavoro, infrange il sogno di aprire, con la compagna, una gelateria artigianale alle isole Mauritius.


«Quattro mesi prima di partire», ricorda, «ho dovuto affrontare la prova più dura, però il progetto di trasferirmi, anche solo per una breve vacanza, non l’ho mai accantonato». Caradonna, invece è cuoco di professione, ha perso tre dita della mano mentre maneggiava un’apparecchia- tura in cucina: «Sei ore sotto i ferri e due mesi in ospedale con una sola domanda nella testa: ora che cosa farò?».



Il gruppo “Racconti in cucina”

Il lieto fine non è scontato
Filippo, Nicola e Saverio hanno trovato, ciascuno a modo suo, una risposta: non si sono tirati indietro, perché vogliono dimostrare che possono farcela, più forti anche dei diffusi pregiudizi. Sanno, come ha scritto un poeta inglese, che «disabilità non vuol dire inabilità; significa semplicemente adattabilità». E loro si sono rimessi in gioco. Il lieto fine non è scontato, ma possibile.

Quello di Di Leonardo è racchiuso tra le mura dell’Opera Don Calabria: «Mi sono trovato in mezzo a giovani con alle spalle un passato difficile. Da volontario, sapevo solo cucinare: poterlo fare aiutando altri ragazzi mi ha riempito di soddisfazioni. Preparare qualche piatto speciale è diventato un modo per cercare di superare i problemi».


I due chef

Tramite l’Inail, invece, Cinà tiene corsi per pasticceri: «Insegno il mio mestiere e cerco di trasmettere la mia passione. È una sfida importante, ma ho capito che, con la determinazione, anche i traguardi apparentemente impossibili possono essere raggiunti». E Caradonna? Lui pure è deciso a portare avanti la sua battaglia: «Faccio ancora il cuoco», spiega, «e nonostante la crisi, resisto. Non è facile: si va avanti facendosi le spalle forti. Non c’è alternativa ma un lavoro stabile che mi permetta una vita familiare tranquilla ancora lo devo trovare». Dice lo scrittore Paulo Coelho: «Il mondo è nelle mani di co- loro che rischiano di vivere i loro sogni. Ognuno col proprio talento». Filippo, Nicola e Saverio ci hanno creduto, e ce la stanno facendo. Lontano dai riflettori, dalle ribalte, in una dignitosa, e onesta, normalità. Che, proprio per questo, diventa esemplare: monito alla fiducia per chi è chiamato, nonostante i limiti del corpo, a dover essere più forte del destino.


Tutte le foto sono di Sebastiano Bellomo


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