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Mottarone: macché massimizzazione dei profitti, è degrado umano

La vicenda di Gigi Nerini, titolare delle Ferrovie Mottarone​, e dei suoi due dipendenti a me pare ascrivibile piuttosto ad un progressivo degrado dell’umano, a un’interruzione della catena intergenerazionale dell’educazione umana. Dietro ogni norma, dietro ogni tecnica, c’è un uomo che compie scelte in base al suo libero arbitrio, per questo educare la libertà è l'urgenza più grande a cui siamo chiamati

di Riccardo Bonacina

Debbo confessare che la lettura delle prime pagine dei quotidiani di oggi mi ha procurato ancor di più del solito fastidio, un certo disgusto su una categoria (la mia) sempre più prossima allo sciacallaggio, dalle lacrime e dalla retorica del giorno dopo la sciagura della funivia del Mottarone, alla criminalizzazione di oggi. Il Corriere della Sera: «Hanno tolto i freni per soldi». Per la Repubblica è: La strage dell’avidità. La Stampa quantifica la somma: Una strage per 140 mila euro. Il Quotidiano nazionale calcola in altro modo, valutando l’incasso giornaliero: Hanno fatto una strage per 12.600 euro. Comunque sia, il movente è quello sintetizzato dal Giornale: Morti per denaro. Il Messaggero accusa: Scelta mortale. Libero grida: Criminali.

Nessun ristoro neppure dalla lettura dei commenti di editorialisti e opinionisti il cui pendolo oscilla tra “i disastri della massimizzazione dei profitti” e la condanna senza appello e la gogna pubblica per tre fermati: Luigi Nerini, titolare della società che gestisce il servizio, Enrico Perocchio direttore d’esercizio e Gabriele Tadini caposervizio accusati di «Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro».

Macché massimizzazione dei profitti, la vicenda di Gigi Nerini, titolare delle Ferrovie Mottarone​ e dei due dipendenti a me pare ascrivibile piuttosto ad un progressivo degrado dell’umano, a un’interruzione della catena intergenerazionale dell’educazione umana. Nerini non apparteneva alle grandi famiglie di Stresa, proprietarie degli hotel famosi in tutto il mondo, ma è un piccolo imprenditore (la funivia fattura 1,8 milioni l’anno) che anche quella mattina ha mandato i suoi figli; Federico e Stefano sulla funivia. «Uno che si arrangiava, che grattava il muro con le mani coltivando rapporti, provandoci in ogni modo, ma che non ce l’ha mai fatta davvero», lo dipinge su Il Corriere, Piero Vallenzasca, ex consigliere comunale di Stresa, esponente di Italia nostra, suo nemico storico.

Un imprenditore con molti debiti (2,5 milioni a fine 2019 ma oggi dopo la pandemia molti di più) e per questo costretto anche a ipotecare la villa storica della sua famiglia a Stresa. Il servizio della funivia era ripreso lo scorso 26 aprile dopo più di un anno di interruzione per Covid da qui la scelta sciagurata che Olimpia Bossi, procuratrice della Repubblica di Verbania racconta così: “Il caposervizio Gabriele Tadini ha dichiarato che si era fatta quella scelta perché si era sicuri che mai il cavo traente si sarebbe spezzato”.

L’aver deciso di lasciare la ‘forchetta‘ che impedisce al freno di emergenza di entrare in funzione per non perdere introiti in seguito alle chiusure delle attività dovute alla pandemia è uno dei motivi della scelta sciagurata. Ecco il sommovimento che la pandemia sta provocando nella gerarchia di valori, impegni, obblighi e opportunità che sta mutando la nostra sensibilità sociale, la relazione tra noi e gli altri, il rapporto tra interessi e obblighi.

Nella vicenda di Nerini e dei suoi dipendenti, nella loro sciagurata scelta che ha, almeno in parte (il perché del cedimento della fune è ancora da accertare), causato la morte di 14 persone tra cui due bambini più che l’avidità ha vinto l’irresponsabilità, la paura della caduta sociale, lo smarrimento umano di chi non riesce a conquistarsi una posizione sociale. Non per questo è giustificabile, ma crediamo sia importante capire il problema.

Come scrive Antonio Polito su Il Corriere il problema è ben più grave delle esternalità negative provocate dalla massimizzazione dei profitti: “In questi casi si dice che si è messo il profitto davanti a tutto. Ma non è neanche così. Trascuriamo il fattore umano. Perché dietro ogni norma, dietro ogni tecnica, c’è un uomo che compie scelte in base al suo libero arbitrio; e noi dipendiamo da quello, dalla sua scala di valori, dal rispetto per gli altri che lo anima, dal suo senso del dovere”.

Se il vero tema è il fattore umano, la sua capacità di scelta tra ciò che è bene e ciò che è male, si converrà allora come il fattore decisivo sia l’educazione, l’introduzione alla vita e a ciò che davvero vale. Ma chi oggi ha chiaro che la vera scommessa sta qui.

Gustave Thibon, il filosofo contadino maestro di Simone Weil, però ammoniva: “Libertà. Niente è più instabile e più provvisorio di questa incredibile facoltà. Essa ci viene data perché muoia, perché sia uccisa. Tutto dipende dal livello al quale soccombe: in basso, la schiavitù; in alto, l’amore. I santi si affrettano a metterla nelle mani di Dio perché gli idoli non se la portino via”. E gli idoli sono, lo sappiamo, il denaro, il successo, la fama, il benessere, la forma fisica, fate voi. Ognuno sceglie la sua forma di schiavitù. Per questo educare è la prima grande impresa, il primo grande investimeto, educare all’uso della libertà, educare al sentimento delle vite degli altri, educare ad alzare lo sguardo dal proprio ombelico e immediato interesse, educare a una costruzione comune.

Il 18 novembre 2003 la copertina del Tg2 delle 20,30 scritta da don Luigi Giussani per i funerali delle vittime di Nassiriya scrisse così: Bontà è il motivo di azione per l’uomo. Se una educazione del cuore della gente diventasse orizzonte di azione. Se ci fosse una educazione del popolo, tutti starebbero meglio”.

Una esortazione oggi più che mai da condividere.


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