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Armanda Salvucci: «Sesso? Lo facciamo tutti, anche i disabili»

Sabato 2 dicembre sarà presentato per la prima volta a Roma il cortometraggio Sensuability, per sfatare uno dei pregiudizi (o giudizi) più comuni legati al sesso e ai disabili. «Non siamo né bambini né persone asessuate», spiega la Salvucci. «Ma nell’immaginario collettivo il sesso è legato alla prestazione fisica. Insomma o sei agile e bello oppure non fai sesso?»

di Anna Spena

“Che cosa ci devi fare tu con questo letto?”. Ad Armanda Salvucci questa frase l’hanno ripetuta spesso. Così come più volte le hanno propinato l’immagine dei disabili “sempre intelligenti, buoni e sensibili”. «Non che non lo siano», spiega. «Ma potrebbero essere anche stupidi, antipatici e a tratti cattivi. Come tutti gli altri appunto». Amanda Salvucci ha 50 anni, ed è disabile.

Ma Armanda Salvucci è anche una donna che si è stancata di essere vista e rinchiusa dentro quella griglia di cliché, che vede lei e tutti gli altri con disabilità, come “un popolo a parte”. Per questo motivo armata di senso dell’umorismo, leggerezza e ferma convinzione ha deciso di realizzare un cortometraggio “Sensuability” per sfatare uno dei pregiudizi (o giudizi) più comuni della nostra società: il sesso e i disabili.

«Eppure è assurdo», racconta, «ci troviamo a parlare, ed io ho fatto un film, su quella che dovrebbe essere, anzi di quella che è la cosa più natura del mondo, il sesso appunto. Siamo qui a dover spiegare che sì anche un disabile fa, può e deve fare sesso».

Il corto, che sarà presentato per la prima volta domani a Roma alle ore 18 presso il Cine Detour in Via Urbana 107, fa parte di un progetto che comprende un film, una mostra fotografica e una mostra di fumetti. «Per adesso è solo un corto», spiega Armanda. «Ma il prossimo 15 dicembre partirà una campagna di crowdfunding per realizzare un vero e proprio film».

Realizzato con l’Associazione NessunotocchiMario, al corto hanno partecipato, tra gli altri, Davide Mancori come direttore della fotografia, Andrea Maguolo, vincitore del premio David di Donatello per “Lo chiamavano Jeeg Robot” al montaggio e Roberto Pedicini, come voce narrante.

«Quella di Roma», continua Armanda, «sarà solo la prima tappa. Poi partiremo per un viaggio itinerante per l’Italia. Non abbiamo ancora definito le città, ma le persone hanno iniziato a chiamarci da diverse regioni d’Italia».

Troppo spesso il disabile rispetto alla sessualità è considerato come un “bambino”. «O peggio ancora come un essere asessuato. Perché nell’immaginario collettivo il sesso è legato all’attrattività e alla prestazione fisica. Insomma o sei agile e bello oppure non fai sesso?».

L’unica via di uscita allo stereotipo e al pregiudizio è la conoscenza, è fare cultura, partendo con il cambiare una mente per volta. Il progetto vuole contrastare gli stereotipi e pregiudizi culturali, sociali e sessuali, favorire la libertà di espressione, soprattutto delle categorie a rischio e oggetto di pregiudizi, proponendo un nuovo modo di fare cultura che agisca attraverso tutte le forme d’arte.

«La scelta del tema non è causale come non è casuale la scelta di soffermarmi principalmente sugli aspetti sessuali e meno su quelli affettivi. È un tema del quale si inizia a parlare da poco e ancora non se ne parla nel modo giusto e quando se ne parla si preferisce parlare dell’aspetto sentimentale sorvolando invece sul corpo e su quello che desidera. La mia attenzione si concentrerà prevalentemente sulle disabilità di tipo fisico presenti alla nascita o molto precocemente nello sviluppo. Questa scelta è dovuta al fatto che proprio gli individui affetti da disabilità di questo tipo risultano essere quelli più emarginati in base alla vecchia concezione dell’amore sessuale come pura prestazione, per realizzare la quale mancherebbero loro le abilità necessarie».


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