Il giuslavorista Ciro Cafiero analizza i punti del provvedimento dedicati al lavoro. «È un decreto che ha due anime. Una futurista e una retrò. L'anima futurista è quella parte che guarda i gig workers di cui però non sappiamo ancora nulla. L'anima retrò è quella che si riferisce ai provvedimenti sul lavoro. Mi sembra un tuffo nel passato ma con un contesto completamente differente»
Dopo aver analizzato i rumors che riguardano le decisioni che il Governo deciderà di prendere per migliorare le condizioni lavorative dei raiders italiani con il giuslavorista Ciro Cafiero abbiamo analizzato i punti del Decreto Dignità che riguardano il lavoro e di cui esiste un testo approvato dal Consiglio dei Ministri.
Ciro Cafiero
La prima voce riguarda l'indennità per i licenziamenti. Il Decreto aumenta il valore dell'indennità per i lavoratori licenziati “ingiustamente”, da 24 mesi a un massimo di 36 mesi. Che ne pensa?
Credo si tratti di una scelta obbligata a fronte dell'ordinanza del tribunale di Roma del 26 luglio 2017 che ha ravvisato la violazione degli art. 4, 35, 117 e 76 della Costituzione da parte del Jobs Act data l'irrisorietà dell'indennità risarcitoria delle vecchie 24 mensilità segnando il definitivo passaggio dal regime di job propertya quello di flex security. La flessibilità del mercato del lavoro non è comunque di per sé un male. Lo diventa in un mercato poco fluido e scarno di occasioni. In Danimarca, ad esempio, dove vige un regime del genere le cose funzionano e si trova lavoro in sei mesi dal momento del licenziamento. In Italia dubito accadrà lo stesso.
Com'era stato annunciato c'è la stretta sui contratti a termine. In che cosa consiste?
Il limite si riduce da 36 a 24 mesi e ogni rinnovo a partire dal secondo avrà un costo contributivo crescente dello 0,5%. Ridotte da 5 a 4 le possibili proroghe. Per i contratti più lunghi di 12 mesi o dal primo rinnovo in poi arrivano tre categorie di causali, esigenze temporanee e oggettive, connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, o relative a picchi di attività stagionali. Le nuove regole valgono anche per i contratti a tempo determinato in somministrazione (non vengono cancellati, come previsto dalle prime bozze, quelli in somministrazione a tempo indeterminato). Il giro di vite sui rapporti a termine si applicherà «ai nuovi contratti», ma anche a quelli «in corso», seppur limitatamente a eventuali loro «proroghe e rinnovi». Questo è il quadro.
E cosa ne pensa?
Il dibattito su questo punto è drogato sin dalla campagna elettorale e dallo scontro tra Lega e M5S. La modifica della disciplina dei contratto a termine di questo decreto è un gioco a somma zero. Secondo gli ultimi dati Istat sull'occupazione i contratti a termine da maggio 2017 a maggio 2018 sono aumentati di 434mila unità. Il Ministero del Lavoro ci dice però che i contratti interessati dall'aumento sono quelli della durata da 1 a 30 giorni e da 31 a 90 giorni. Mentre sono diminuiti quelli di durata superiore a un anno. Sono passati da 538mila a 492mila. Il decreto dignità colpisce proprio questi contratti già in diminuzione. Fino a 12 mesi infatti non è prevista la causale. Questo significa che il Decreto in realtà sana un problema che non c'è. La ragione di questa diminuzione: con il Jobs Act gli imprenditori oltre i 15 dipendenti possono assumere e licenziare un lavoratore riconoscendo un risarcimento di due mensilità per ogni anno di servizio, con un minimo di 4 ed un massimo di 36 che erano 24 prima del Decreto. Con la legge 183 del 2010 in caso di vizio del contratto a termine l'imprenditore è esposto al pagamento di un minimo di 2,5 mensilità e di un massimo di 12. Se occorre assumere per un brevissimo periodo, cioè meno di un anno, può convenire. Per i periodi superiori a un anno invece conviene evidentemente assumere con contratti a tutele crescenti, che invece permettono di pagare da 4 a 6 mensilità. Si rivela dunque un provvedimento inutile: il legislatore ha applicato gli stessi rimedi della Legge Fornero in un contesto totalmente diverso, nel 2012 infatti non avevamo il contratto a tutele crescenti.
Sono state anche introdotte le penalizzazioni per chi delocalizza...
Sì, alle aziende che hanno ricevuto aiuti di Stato che delocalizzano le attività prima che siano trascorsi 5 anni dalla fine degli investimenti agevolati arriveranno sanzioni da 2 a 4 volte il beneficio ricevuto. Anche il beneficio andrà restituito con interessi maggiorati fino a 5 punti percentuali. È un passo nella direzione giusta perché troppe aziende hanno usato l'Italia come un super market per comprare qualcosa e andare via sfruttando la nostra manodopera qualificata. Ma è un passo non risolutivo. Per limitare la delocalizzazione ci vogliono altri interventi più importanti: la sburocratizzazione del Paese, gli investimenti in infrastrutture e trasporti, la riduzione del cuneo fiscale e la formazione nelle nuove competenze soprattutto quella dell'Industria 4.0.
Lo split payment, che sembrava cosa fatta, invece non sarà applicabile ai professionisti. Possiamo spiegare cos'è e a cosa servirebbe?
È il pagamento splittato dell'Iva. Anziché pagarla allo Stato è l'impresa committante a trattenerla per poi versarla allo Stato. Così il professionista sarebbe tenuto a incassare il netto. Anche qui si tratta di un provvedimento ininfluente per i professionisti. Sarebbe un ondata di liquidità in più che dovrà comunque essere versata allo Stato. Che ci sia o meno non ne vedo i benefici.