Lo afferma Mario Morcone, ex capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione e ora direttore del Consiglio italiano dei Rifugiati. Secondo Morcone l’utilizzo premiale della protezione umanitaria, che la circolare Salvini vorrebbe eliminare, è in realtà uno strumento per limitare l’irregolarità e la stretta rischia di colpire proprio chi in Italia è già integrato
Una stretta sulla concessione della protezione umanitaria, la forma di protezione più diffusa nel nostro Paese per gli stranieri in difficoltà. È questo l’obiettivo della circolare scritta dal ministro dell’Interno Matteo Salvini e indirizzata ai prefetti, alla commissione per il diritto d’asilo e ai presidenti delle sezioni territoriali. Nella circolare il ministro sottolinea che i riconoscimenti “non possono essere riconducibili a mere e generiche condizioni di difficoltà”. Mario Morcone ex Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione ed ex Capo di Gabinetto del ministero dell'Interno durante il governo Gentiloni, oggi direttore del Consiglio italiano dei Rifugiati (CIR) sostiene che la nuova circolare rischia di penalizzare soprattutto chi ha già un lavoro e un percorso di integrazione di successo alle spalle.
Mario Morcone
L’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione ha definito la circolare “inopportuna”, perché il Ministro dell’interno è un organo politico che, in questo caso, vuole dare indicazioni politiche ad un organismo amministrativo. È lecito per un ministro emanare una circolare simile?
Prima di tutto credo che ci siano delle questioni tecniche da tenere in considerazione. Il Ministro Salvini ha chiarito nella conferenza stampa che le donne incinte avranno comunque diritto alla protezione umanitaria. Nella circolare, che evidentemente non è stata scritta da lui ma dai suoi tecnici, c’è scritto il contrario. In questo caso i tecnici e i funzionari sono stati più realisti del re. Inoltre il permesso umanitario serve a tutelare i soggetti vulnerabili ma è utilizzato anche come strumento premiale, e questo avviene nell’interesse del Paese, poiché viene dato anche a chi ha fatto un percorso per integrarsi nel proprio tessuto sociale, a chi ha un lavoro e non crea problemi.
Rimane poi un tema di fondo che è tutto politico, e riguarda l’opportunità o meno per un ministro di orientare le commissioni territoriali.
Quale prevede che sarà l’impatto reale della circolare sui processi di richiesta d’asilo?
Dipenderà dalle persone. Se le commissioni continueranno a prendere in esame le singole storie, valutando, di volta in volta, se ci sono effettivamente i presupposti di protezione umanitaria allora non cambierà molto. Bisogna però fare una riflessione: questa circolare rischia di colpire chi ha già fatto percorsi di integrazione. L’utilizzo premiale della protezione umanitaria è anche uno strumento per limitare l’irregolarità. Non vi è nessuna convenienza per il Paese se una persona che ha avviato un percorso di integrazione di successo, improvvisamente si ritrova ad essere irregolare, perché il riconoscimento non viene rinnovato.
Secondo l’Ispi, calcolando il tasso di rimpatrio attuale, senza un rinnovo della protezione umanitaria, che nel 2016-2017 ha riguardato 39mila persone, sarebbero 33mila le persone che rimarrebbero in uno status irregolare in Italia.
Esatto. Io credo che l’obiettivo del Ministro fosse quello di ridurre l’irregolarità non di aumentarla. Ma il rischio, con l’applicazione pedissequa della circolare, è proprio questo. Se una persona onora il proprio contratto di lavoro e non crea problemi, non si capisce perché la si debba privare della possibilità di mantenere uno status di regolarità, rimandandola magari su una panchina della stazione. È penalizzante per la persona e per tutta la collettività.
Un’altra critica avanzata da diverse associazioni ed esperti di diritto riguarda la necessità di velocizzare il processo di valutazione delle richieste d’asilo, presente nella circolare. Di questo aveva cercato di occuparsi anche l’esecutivo precedente. Il decreto Minniti-Orlando prevede tra le altre cose anche l’abolizione del secondo grado di giudizio e dell’udienza, elementi che hanno spinto 5 associazioni a fare ricorso, sottolineando “un diritto alla difesa depotenziato solo per i migranti e i richiedenti asilo", che così non hanno più accesso ai tre gradi di giudizio garantiti a tutti. Accorciare i procedimenti è davvero necessario?
Assolutamente sì. Non è possibile aspettare tre anni per una sentenza. Non vedo lesioni del diritto in quel decreto e credo che adesso sia importante andare avanti. Mettere al centro chi ha diritto alla protezione umanitaria, garantire la regolarità a chi si è integrato e ripensare le politiche di ingresso per costruire canali sicuri per chi parte dall’Africa e continua a rischiare la vita nel Mediterraneo.