L’anticipazione del testo con cui apre il numero 4037 del quindicinale La Civiltà Cattolica in distribuzione dal 1 settembre sui capisaldi del pensiero educativo di Papa Francesco così come si è formato fino all’elezione al pontificato
La Civiltà Cattolica, sul numero 4037 che sarà in distribuzione da settembre, presenta sette «colonne» del pensiero educativo di papa Francesco così come si è formato fino all’elezione al pontificato. «La riflessione su di esse può aiutare a comprendere meglio il magistero educativo che il Papa ha sviluppato nei cinque anni compiuti dal giorno della sua elezione al soglio di Pietro», scrive l’autore, Antonio Spadaro.
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«Abbiamo individuato sette elementi fondamentali: l’educazione come fatto popolare che aiuta a costruire il futuro di una nazione; la necessità di accogliere e integrare le diversità come ricchezza; la lungimiranza e il coraggio di affrontare le nuove sfide antropologiche, anche quelle che facciamo fatica a comprendere; l’inquietudine come motore educativo; la domanda e la ricerca come metodo; la consapevolezza e l’accoglienza dei limiti; la dimensione familiare e generativa del rapporto educativo», continua.
«Se verifichiamo i titoli dei volumi nei quali l’allora mons. Bergoglio aveva raccolto alcune sue riflessioni pedagogiche, troviamo tre parole chiave che connotano l’educazione: scelta, esigenza e passione», sottolinea Spadaro, «Ma vi è un’espressione estremamente sintetica che Bergoglio ha scritto agli educatori e con la quale possiamo rilanciare a questo punto la nostra azione: “Educare è una delle arti più appassionanti dell’esistenza, e richiede incessantemente che si amplino gli orizzonti”».
Particolarmente toccante è il pilastro che si fonda sulla famiglia. Un aspetto fondamentale della visione educativa di Bergoglio. «La dimensione generativa e genitoriale innerva dalle radici la sua concezione del compito educativo, che deve essere forgiato da uno sguardo di famiglia. L’attuale Pontefice parlava proprio di uno sguardo di padre e di madre, di fratello e di sorella», scrive Spadaro.
Educare è una delle arti più appassionanti dell’esistenza, e richiede incessantemente che si amplino gli orizzonti
«Colpisce in particolare una sua espressione: “Dialogare è avere capacità di lasciare eredità”. L’eredità è una cosa che passa di mano in mano all’interno di una famiglia. Specifica Bergoglio: “Nel dialogo recuperiamo la memoria dei nostri padri, l’eredità ricevuta... per farla crescere con noi... Tramite il dialogo prendiamo coraggio... spunta il coraggio di lanciare questa eredità impegnata con il presente verso le utopie del futuro e di compiere il nostro dovere di far crescere l’ereditè ricevuta attraverso impegni fecondi di utopie future”. Da queste parole trapela tutta la ricchezza propria del dialogo di esperienze e di atteggiamento nei confronti della vita».
Dagli scritti di mons. Bergoglio per Spadaro «si comprende inoltre che egli crede molto nelle narrazioni. Solo nel racconto è possibile passare cose da una generazione all’altra. In questo senso, uno dei temi fondamentali trattati è il rapporto familiare tra giovani e anziani, i due «scarti» delle nostre società attuali. I giovani sono il futuro, l’energia. Gli anziani sono la saggezza. Il figlio assomiglia al padre, ma è diverso. Un figlio non è un clone».
«L’educazione», continua l’autore, «è un fatto familiare che implica il rapporto tra le generazioni e il racconto di un’esperienza. C’è un ponte che va stabilito tra le generazioni. Ed è questo ponte a essere il contesto di un’educazione intesa come il passaggio di un’eredità viva. L’eredità si accompagna sempre a un brivido, perché lega passato e futuro. Il Papa ha detto di recente a un gruppo di ragazzi di scuola media: “Dobbiamo imparare a guardare la vita guardando orizzonti, sempre più, sempre più, sempre avanti”. E questo dà un brivido. Ecco dunque il consiglio agli educatori: “Sfidiamoli più di quanto loro ci sfidano. Non lasciamo che la “vertigine” la ricevano da altri, i quali non fanno che mettere a rischio la loro vita: diamogliela noi. Ma la vertigine giusta, che soddisfi questo desiderio di muoversi, di andare avanti”».
Le visioni sul futuro che i giovani riescono a elaborare si fondano sul sogno di chi li ha preceduti. Non è il giovane a essere sognatore, dunque, ma l’anziano
Comprendiamo allora che l’eredità, che si trasmette di padre in figlio, è un’eredità di inquietudini. «Ecco il punto», conclude il testo, «per Bergoglio, i padri, gli anziani sono coloro che “sognano”. Egli infatti ha meditato a lungo sul libro di Gioele, là dove si dice: “Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo [...]; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni» (Gl 3,1). Le visioni sul futuro che i giovani riescono a elaborare si fondano sul sogno di chi li ha preceduti. Non è il giovane a essere sognatore, dunque, ma l’anziano! Il giovane invece ha “visioni”, immagina il futuro, e così lo costruisce in speranza. La mancanza di padri “capaci di narrare sogni non permette alle giovani generazioni di avere visioni. E rimangono ferme. Non permette loro di fare progetti, dal momento che il futuro genera insicurezza, sfiducia, paura”. Che cosa aiuta ad alzare lo sguardo? Solo la testimonianza dei padri, “vedere che è stato possibile lottare per qualcosa che valeva la pena”. Questa dinamica non permette di strutturare la vita come una “bottega di restauro”, come vorrebbero i tradizionalisti, e neppure come un “laboratorio di utopia”, come vorrebbe chi cerca di restare sempre sulla cresta dell’onda. Il compito educativo è, dunque, un impegno per la storia. Un popolo è una realtà storica, si costituisce nel corso di molte generazioni».