Attivismo civico & Terzo settore

Processo al non profit

A Roma l'assemblea “Terzo settore: gli errori e il futuro”. Gli interventi di Albanesi, Vitale e Sachs

di Gabriella Meroni

ROMA – Gli errori sono tanti e il futuro sta in una ripartenza da una «fase costituente del terzo settore» che dovrebbe portare alla nascita di un nuovo soggetto rappresentativo forte, non subalterno alla politica. Si può riassumere così, in questa sintesi dell’ambizioso obiettivo, questa prima giornata dell’assemblea “Terzo settore: gli errori e il futuro” organizzata da Redattore Sociale, Famiglia Cristiana e Edizioni dell’Asino di Goffredo Fofi.

Nell’intervento introduttivo Don Vinicio Albanesi (in foto) ha disegnato un panorama piuttosto sconfortante, un’analisi dura del momento che sta vivendo il terzo settore. Secondo Albanesi, anima del Cnca, non si parla più di solidarietà ma di «raccoglitori di monnezza». Gli operatori sociali devono libeare le strade da tutto ciò che dà fastidio e che lo stato non riesce a “contenere”. Gli errori del terzo settore secondo Don Vinicio sono tre: la non capacità di pensare e quindi di elaborare un nuovo modello di Welfare, l’eccessiva frammentazione («frammentazione suicida» l’ha definita) e infine la mancanza di motivazione, soprattutto nelle nuove generazioni, che spesso producono bravi tecnici e manager che però hanno solo professionalità senza idealità. Per sopravvivere, secondo Albanesi, da una parte bisogna smettere di interloquire eccessivamente con la politica, con il rischio di esserne risucchiati, e dall’altra non tentare di imitare l’impresa profit ma creare un nuovo soggetto forte che rappresenti tutto il Terzo Settore, capace di influenzare le politiche di welfare.

L’europarlamentare ed ex sindacalista Pierre Carniti, intervenuto subito dopo, ha attaccato la politica delineando quadro pessimistico secondo il quale in Italia ci sarebbe una acuta crisi di rappresentanza e addirittura una deriva oligarchica. Una politica, quella italiana, dominata dai conflitti d’interesse (il più macroscopico quello del premier, ha sottolinato Carniti) e regolata non più dalle leggi della politica ma da quelle dei mass media e della visibilità, che ha trasformato il cittadino in spettatore. Il terzo settore dunque, se vuole contare qualcosa, deve inaugurare una nuova stagione costituente.

Controcorrente l’economista Marco Vitale, che si è rifiutato di sposare la concezione di un terzo settore residuale. Gli operatori non sono raccoglitori di monnezza, secondo Vitale, anche se è vero che il terzo settore italiano è arretrato per alcuni aspetti. Al contrario di don Albanesi, Vitale ritiene positiva l’introduzione della managerialità nelle imprese sociali, non per snaturarle ma anzi per mutuare le buone pratiche. Un duro attacco, poi, all’eccessiva politicizzazione di alcune associazioni: secondo Vitale alcune sigle perdono credibilità per la loro precisa scelta di schierarsi, sopratutto a sinistra, e questo è nocivo per le stesse associazioni. Ultima stoccata di Vitale sul fund raising, ancora poco diffuso tra i nostri enti non profit, che troppo spesso sono dediti «all’accattonaggio» mentre dovrebbero imparare a reperire risorse attraverso trasparenza e chiarezza di obiettivi.

Wolfgang Sachs, docente al Wuppertal Institute e ambientalista, come lui stesso si è definito, ha sostenuto che «l’Italia degli orfani di Don Camillo e Peppone deve trovare una terza via». Sono in crisi sia il modello di sinistra che quello conservatore cattolico. È quindi necessario trovare un’altra modalità, guardando oltre i ristretti confini nostrani, magari sull’esempio delle minoranze internazionali: non è vero che essere minoranza elimina dai giochi, anzi le minoranze hanno una grande capacità anticipatrice e profetica nel cogliere ciò che sarà. Per lungo tempo possono rimanere silenti. Ma spesso capita qualcosa di esterno, uno shock, che porta al centro dell’attenzione mondiale ciò che queste minoranze stavano già operando.


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