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#Processoalnonprofit, la retorica come arma

2 Ottobre Ott 2018 1444 02 ottobre 2018
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Domani, al Salone della CSR andrà in scena la prima delle tre udienze in programma. Per Flavia Trupia, presidente dell'Associazione per la Retorica, organizzatrice dell'evento insieme a Ferpi, «solo mettendosi dalla parte del proprio interlocutore e fingendo di avere le sue opinioni saremo in grado di difendere le nostre argomentazioni»

Ascoltare e comprendere i pro e i contro: argomenti, opinioni e comportamenti opposti con l’obiettivo di imparare dallo scambio di idee. È questo lo scopo del Processo al non profit che proprio dopo aver visto il Terzo settore finire in questi anni più volte sul banco degli imputati, oggetto di un’inedita offensiva giudiziaria, mediatica, sociale e politica, vuole provare a capire se sia colpevole o innocente. A partecipare alla prima di tre udienze pubbliche (domani al Salone della Csr) ci saranno Luca Beltrami Gadola Fondatore e direttore ArcipelagoMilano.org, Daniela Bernacchi CEO Cesvi, Mauro Bonaretti Consigliere Corte dei Conti, Elio Borgonovi Docente Università Bocconi, Ferruccio De Bortoli Giornalista Giornalista, Furio Garbagnati Chief Executive Officer Weber Shandwick Italia, Giorgio Gori Sindaco di Bergamo Sindaco, Toni Muzi Falconi Past President FERPI, Marina Salamon Presidente Altana e Sabina Siniscalchi Presidente Oxfam Italia. Per capire come funzioni il processo e perché sia stato scelto questo formati abbiamo intervistato Flavia Trupia, presidente dell'Associazione Per La Retorica che insieme a Ferpi lo ha organizzato.


Flavia Trupia

Perché il “Processo al non profit” si basa sulla retorica?
Il potere della retorica è mettere a confronto le persone e fare in modo che i temi emergano in modo non conflittuale quindi con uno scambio pacifico tra pari.

Che regole prevede questo confronto?
Sono due round di dieci minuti ciascuno in cui il relatore è chiamato a sostenere prima una tesi e poi il suo contrario. Durante l'esposizione nessuno può essere interrotto. Però bisogna anche essere brevi, concisi stando nei tempi.

Come siete arrivati all'individuazione di questo format?
Non l'abbiamo inventato noi, si tratta di una usanza medioevale. Il processo è solo un escamotage ma in realtà non è altro la Disputatio in Utramque Partem che serviva per mettere in discussione i temi. Veniva applicata dagli accademici nelle Università in particolare per raccontare e comprendere le contraddizioni della Bibbia. C'era infatti la convinzione che nessuna verità può essere veramente insegnata e raccontare se non passa attraverso i “denti” della disputa. Alla fine dei nostri processi nessuno esce con la verità in tasca ma tutti avranno degli elementi in più circa la verità.

Come mai ogni relatore deve sostenere quello in cui crede ma anche il suo contrario?
È un modo per imparare a difendere le proprie argomentazioni. Mettersi dalla parte del mio interlocutore e fingere di avere le sue opinioni è uno stratagemma che si usa moltissimo per prepararsi a un dibattito e a negoziazioni. In una negoziazione vinco solo se ho in mente le ragioni dell'altro e le capisco.

Un modo anche per cambiare opinione sull'altro?
Certo, si parte dall'idea che l'opinione altrui è da rispettare. Pensare che gli altri sbaglino o siano falsi, che noi siamo nel giusto e nel vero, è un modo molto contemporaneo. Ma non è la verità. Ciascuno porta avanti le proprie convinzioni con passione. Cominciare ad ammettere le buone intenzioni dell'altro, anche se non ne condividiamo le convinzioni, è il punto di partenza per arricchirci e per fare un'onesta ricerca della verità.

Questo sottointende che alcune critiche che vengono rivolte al Non profit siano fondate?
Non lo sappiamo. Lo scopriremo domani. Non partiamo con tesi precostituite. Può essere. L'udienza che faremo domani è importante perché vedrà grandi professionisti di questo mondo mettersi in gioco e in discussione. Il risultato sono certa sarà molto stimolante.

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