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Julia Kristeva: «L’Europa o il caos»

L'Università Iulm di Milano ha conferito la laurea honoris causa all'intellettuale francese. Al cuore della domanda identitaria -«Chi sono io?» - c'è una risposta tipicamente europea. Quale? Kristeva lo ha spiegato così: «non la certezza di chi sono, ma il punto di domanda. L'Europa è saper mettere quel punto di domanda e tenerlo vivo»

di Marco Dotti

Una tempesta si aggira per l'Europa. Ne è convinta Julia Kristeva, oggi a Milano per ricevere la laurea honoris causa che le è stata conferita dallo IULM, onorificenza che inaugura simbolicamente le prossime celebrazioni per i 50 anni dell’Università, fondata il 22 novembre del 1968.

Filosofa, semiologa, linguista e psicoanalista, bulgara di nascita, francese di cittadinanza e americana d'adozione Kristeva è autrice poliedrica, difficile da incasellare. «Diversità è il mio motto», afferma richiamando La Fontaine, il celebre autore di favole. Ma quella che si addensa sull'Europa non è una favola. Rischia di essere un'incubo. Il suo discorso, oggi, è stata l'occasione per riflettere a fondo sugli stravolgimenti che stanno toccando il cuore dell'Europa.

Eppure, spiega Kristeva, «In contrasto con il culto dell'identità che sta venendo avanti, la cultura europea è un antidoto. Perché non smette mai di svelare il paradosso che l'identità esiste, mia e nostra, ma è infinitamente costruibile e decostruibile». Ecco, allora, che al cuore della domanda identitaria -«Chi sono io?» – c'è una risposta tipicamente europea. Quale? Kristeva lo spiega così: «non la certezza di chi sono, ma il punto di domanda. L'Europa è saper mettere quel punto di domanda».

Dopo aver «ceduto ai dogmi identitari,sta emergendo un "noi" europeo. Anche se in passato l'Europa ha fatto ricorso a comportamenti barbari, il fatto di aver analizzato a fondo il suo comportamento le permette forse di offrire al mondo una comprensione e pratica dell'identità come un'indagine interrogativa».

Ecco perché non solo è possibile, ma è necessario «ripensare al portato europeo come antidoto alle tensioni identitarie. Tendiamo a ridurre questo patrimonio di identità ad una tolleranza permissiva. Ma la tolleranza è solo il grado zero dell'interrogazione, non è l'interrogazione«.

Per questo, «quando non si riduce ad accogliere semplicemente gli altri, la "nostra" cultura li invita ad interrogarsi e a portare la cultura dell'interrogazione e del dialogo in incontri che problematizzano tutti i partecipanti. Questo interrogarsi reciproco produce una lucidità infinita che fornisce l'unica condizione per "vivere insieme". L'identità così intesa può farci muovere verso un'identità plurale e il multilinguismo del nuovo cittadino europeo»

Per questo, anche davanti alla violenza di queste ore «la politica dovrebbe non occuparsi più solo della contabilità ma anche della cultura, intesa come educazione e accompagnamento, magari partendo dai valori ancestrali del cristianesimo, dell’islam e del giudaismo. La questione, per noi, non è interagire con persone di altre fedi, ma con persone che non credono a più a niente». Sarà ancora l'Europa, dunque. O sarà in caos?


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