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Education & Scuola

5 lezioni per la scuola che verrà

Gli esempi che abbiamo raccolto dalle Scuole Changemaker ci hanno mostrato che non è esistita buona pratica che non abbia messo in moto ogni componente della comunità educante e non abbia messo in luce la straordinaria forza di un patto sociale solido fra scuola e territorio

di Luca Solesin

Già dai primi giorni in cui sono stati identificati i primi casi di persone affette dal nuovo Coronavirus abbiamo inteso il ruolo di Ashoka come intellettuale sociale. Per due mesi ci siamo messi in ascolto del network diffuso che abbiamo costruito in 40 anni di storia in tutto il mondo composto da imprenditori sociali, aziende, organizzazioni della società civile, istituzioni e Scuole Changemaker con l’obiettivo di accompagnare empaticamente le persone della nostra comunità, comprendere le sfide sociali e i maggiori rischi del presente e proporre e raccontare le opportunità e le soluzioni per il futuro.

Sebbene molto sia già stato scritto sull’impatto che il COVID-19 ha avuto sui sistemi di apprendimento e sulla scuola italiana in particolare, è nostro dovere riportare in due punti quanto abbiamo appreso relativamente alla scuola italiana al tempo della crisi Coronavirus e lanciare un appello per la fase di riapertura.

Abbiamo vissuto negli ultimi anni abbastanza crisi da sapere che esse determinano allo stesso tempo dei rischi e delle opportunità. In estrema sintesi la nostra rete ci ha mostrato che questa crisi sanitaria, che è divenuta poi economica e sociale, porta con sé per la scuola italiana un rischio e un’opportunità.

Il rischio è l’aggravarsi della disuguaglianza sociale. Questo rischio ha diversi livelli di impatto che possono essere analizzati su una linea temporale: disuguaglianze che si creano oggi, domani e dopodomani.

La disuguaglianza sociale che si è generata oggi è data principalmente da condizioni pregresse sia familiari che scolastiche. A casa, fa la differenza il possesso di uno o più device per la connessione a internet, l’abitare un ambiente educativo stimolante e ricco di risorse, l’aver accesso a reti sociali con cui connettersi. Nella scuola, la differenza è generata dall’infrastruttura fisica e sociale e il capitale umano dell’istituto. Alcune scuole sono più preparate di altre ad affrontare la didattica a distanza avendo già piattaforme online rodate in cui erano registrati tutti gli studenti e le famiglie, avendo svolto negli anni formazione per integrare il digitale nelle prassi di insegnamento e docenti in grado di lavorare in squadra in contesti complessi. Purtroppo, in Italia la capacità di insegnamento tra le diverse scuole non è omogenea.

La disuguaglianza che si genererà domani (da settembre) è data dall’intervallo di tempo che separa l’ultima lezione dell’anno scolastico 2019/2020 e la prima del nuovo anno scolastico. Per molti studenti l’ultima lezione è stata il 21 febbraio e la prossima che seguiranno sarà presumibilmente a settembre. Questo periodo di pausa genera una perdita di apprendimento considerevole che dovrà essere colmata. Inoltre, risulterà difficile alle nostre scuole recuperare a settembre (la motivazione de) gli studenti che, in un modo o nell’altro, sono stati abbandonati a febbraio. È probabile, dunque, che si aggravi il fenomeno della dispersione scolastica che in alcune aree di Italia tocca quote allarmanti.

Tuttavia, il rischio di disuguaglianza sociale più pericoloso possiamo correrlo dopodomani e agisce dal punto di vista sistemico. Nessuna famiglia vuole mandare i propri figli in una scuola di serie B o C e, in questi mesi, la disparità fra scuole è emersa. Questa disparità e insoddisfazione da parte di alcune famiglie sta generando un ampio dibattito sulle reali capacità del nostro sistema educativo di dare compimento efficacemente all’Articolo 3 della Costituzione che indica lo Stato come soggetto responsabile della rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Se non opportunatamente presidiato, gestito ed indirizzato, questo dibattito può minare la credibilità, già provata, della scuola pubblica italiana e dei suoi lavoratori lasciando campo aperto ad interventi non controllati del privato con le possibili implicazioni negative ben segnalate da tanta letteratura scientifica sul tema con una conseguente erosione dello Stato sociale che siamo abituati a conoscere.

Da quest’ultimo aspetto però emerge la grande opportunità. L’opportunità è ricostruire il patto sociale fra Stato e cittadini rinnovando la scuola italiana che ha riscoperto il proprio ruolo come luogo culturale, di socialità, cura, crescita individuale e collettiva di una comunità e di un territorio. Una scuola rinnovata 1) negli strumenti, 2) nelle metodologie, ma soprattutto 3) nello spirito con cui affronta le sfide della contemporaneità, di un mondo caratterizzato dal cambiamento e sottoposto a cicli di crisi.

Lo strumento digitale è stato fondamentale. Per quanto sia stato malvisto e maledetto da alcuni insegnanti per i quali “la didattica a distanza non è didattica”, se non ci fosse stato il digitale avremmo perso completamente la relazione con 9 milioni di ragazzi. Mantenere un contatto seppur digitale, seppur frammentato, fra docenti e studenti, in particolare nel primo ciclo ma non solo, ha significato (un messaggio di) continuità di cura (e forte si è sentito su alcune piattaforme “I care”) fra scuola e famiglie, fra Stato e cittadini. Nella scuola di settembre non dovremo più discutere su “digitale sì o digitale no” perché dovrà essere la dotazione di base senza la quale una scuola non può compiere il proprio dovere stabilito dal precedentemente citato Articolo 3 della Costituzione. Potremmo mai accettare una scuola senza banchi, senza sedie, senza tetti, senza internet, senza registro elettronico?

Ma al di là degli strumenti digitali, le scuole della nostra rete ci hanno ampiamente dimostrato che la vera differenza di insegnamento l’hanno fatta le metodologie con cui sono stati impiegati tali strumenti. Così come scrivere con il pennarello sulla lavagna della LIM senza accendere il PC ad essa collegato, fare didattica frontale via Zoom significa non sfruttare le opportunità che il mezzo didattico mette a disposizione. Il digitale permette di integrare il tradizionale apprendimento basato su spiegazione-studio-pratica-ripetizione con l’e-learning e con tutto il bagaglio di competenze trasversali che esso porta con sé. Inoltre, il Coronavirus è riuscito dove il buon Piano Nazionale Scuola Digitale non è arrivato: generare domanda di formazione. L’offerta formativa c’era già da anni ma molti pensavano che non servisse loro. Ora è apparso chiaro a tutti che fosse necessaria una formazione specifica. Fondazione Mondo Digitale ci riporta dello straordinario sforzo che i docenti hanno compiuto per formarsi alla didattica a distanza. Per tenere le loro lezioni i docenti le hanno provate tutte e chissà che qualcosa di queste nuove metodologie non possa essere riutilizzato o che l’abitudine alla formazione non venga mantenuta anche tornando alla didattica in presenza.

Ecco che la grande opportunità sta nel cogliere il rinnovamento che si è già visto nello spirito della scuola. La situazione di emergenza ha chiesto a tutti, nessuno escluso, un salto di qualità, un impegno maggiore, un mettersi alla prova dando il meglio di sé, un cambiamento radicale nel modo di pensare e agire la scuola. Questo spirito di cambiamento, di innovazione, deve essere alimentato. Non possiamo permetterci un ritorno alla “confort zone”, al vecchio modo di fare, una volta passata la tempesta.

Abbiamo dunque identificato 5 elementi di frontiera su cui lavorare per dismettere alcune vestigia del passato e incamminarsi in sentieri nuovi.

  1. Oltre le discipline e il programma. È necessario superare lo schema d’insegnamento (e valutazione) basato su discipline, ma puntare convintamente sulla didattica e valutazione per competenze. Inoltre, in un momento come questo è apparsa centrale la dimensione educativa della relazione fra docente e studente che prescinde il completamento (e l’ansia associata) del programma.
  2. Oltre la distinzione formale/non formale. La scuola è chiusa ma l’apprendimento non si è fermato. Una scuola rinnovata nello spirito dovrà prendersi cura e tenere conto (valutare?) non più soltanto di quello spazio/tempo di educazione formale definito nella scuola, ma dell’apprendimento diffuso in molti luoghi, spazi e tempi.
  3. Oltre l’organizzazione. Occorre superare il modello organizzativo disfunzionale attuale della scuola in cui si lavora a silos disciplinari e dove i docenti non collaborano fra loro. La scuola è un servizio pubblico integrato così come lo è un ospedale dove non possiamo accettare che lo specialista prescrive una cura, il chirurgo ne attua un’altra, l’infermiere sceglie i medicinali e i dosaggi a piacere mentre l’operatore socio-sanitario fornisce sottobanco al paziente dei medicinali consigliati da un amico pneumologo.
  4. Professionalizzazione. Bisogna dunque recuperare gli aspetti che definiscono la professionalizzazione del corpo docente come la formazione obbligatoria, la valutazione, i sistemi incentivanti, la carriera e l’assegnazione di ruoli e responsabilità che possano garantire una migliore efficacia dell’organizzazione scuola.
  5. Innovazione nella formazione. È di conseguenza necessario rinnovare l’offerta formativa del personale scolastico non solo sugli aspetti metodologici e disciplinari, ma anche sulle competenze trasversali e professionali.

Spesso in passato si è curata maggiormente la mitigazione dei rischi rispetto al far fiorire le opportunità. Perciò questo è il momento del coraggio politico di prestare attenzione al futuro che possiamo costruire. Forse mai nella storia repubblicana la scuola ha avuto così tanta attenzione sociale. E il dibattito emergente può guidare la scuola verso un orizzonte nuovo. Gli esempi che abbiamo raccolto dalle Scuole Changemaker ci hanno mostrato che non è esistita buona pratica che non abbia messo in moto ogni componente della comunità educante e non abbia messo in luce la straordinaria forza di un patto sociale solido fra scuola e territorio. Questo è il momento del coraggio politico per poter ricostruire il patto sociale fra Stato e cittadini passando per il rinnovamento dello spirito della scuola italiana.


*Luca Solesin, Change manager ad Ashoka


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