Politica & Istituzioni

Non si entra e non si esce, per le persone in struttura niente fase 2

Domani la Commissione Sanità di Regione Lombardia ha in programma alcune audizioni sulla DGR 3226, che tante criticità ha già sollevato. Giovanni Merlo: «Le persone con disabilità che vivono nelle residenze sono discriminate». Valeria Negrini: «La delibera non riconosce il fatto che le strutture non RSA hanno come finalità l’inclusione sociale, solo oggi la Regione ha scritto per dire che quello del fine vita era solo un esempio e che le visite sono possibili anche in altri casi». Michele Usuelli: «La DGR va riscritta»

di Sara De Carli

Le persone con disabilità che vivono in residenze sono le uniche, in tutta Italia, per cui la fase 2 non è ancora partita, mentre il resto del Paese è ormai in fase 3. «Dal nostro punto di vista, quello dei diritti delle persone con disabilità, è molto grave l’idea che l’unica preoccupazione delle istituzioni, verso queste persone, sia quella della protezione. Della protezione, non della salute, sia chiaro: perché la salute invece peggiora se non vedo da oltre tre mesi mamma e papà, se ancora non posso uscire, se ancora non posso incontrare nessuno. Noi possiamo uscire e incontrare gli amici, con le dovute distanze e mascherine, le persone con disabilità che vivono a casa propria possono uscire, come tutti: quelle che vivono in residenze sono le sole in tutta Italia per cui vigono regole diverse. Al di là di tutto, dal punto di vista etico questa è una chiara discriminazione», parla così Giovanni Merlo, direttore della Lega per i diritti delle persone con disabilità – Ledha.

Nessuno chiede il “liberi tutti”, «ma questo è un atteggiamento che non ha giustificazione nemmeno sul piano della prevenzione del contagio, perché le persone con disabilità che vivono nelle residenze non hanno di per sé caratteristiche diverse dal resto delle persone, in ordine a questo. O meglio, non tutte, ed è inaccettabile che invece tutte vengano trattate nel medesimo modo. Una delibera del genere poteva andare bene a inizio marzo, adesso no: fra l’altro è di difficilissima attuazione e scarica sugli enti gestori tutta la responsabilità. Ma per noi il punto è che ci riporta indietro di oltre 40 anni, c’è un approccio burocratico, non c’è al centro la persona». Al Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi d’altronde qualche segnalazione è già arrivata, si stanno approfondendo norme e situazioni: «Abbiamo tre tipologie di difficoltà: le persone con disabilità che vogliono ricominciare ad uscire e non possono, altre che hanno persone fuori che ancora non riescono a entrare per fare loro visita e persone che vogliono entrare a vivere ad esempio in un alloggio protetto ma ancora non si riescono a fare ingressi perché la trafila è lunghissima: ci sono casi urgenti, se uno vive in grave degrado il bilanciamento fra il beneficio che deriva dall’ingresso e il rischio potenziale di contagio rende incomprensibili tutte queste difficoltà».

Domani mattina, mercoledì 24 giugno, la Commissione sanità di Regione Lombardia ha programmato alcune audizioni proprio in merito alla DGR XI/3226 “Atto di indirizzo in ambito sociosanitario successivo alla Fase 1 dell’emergenza da COVID -19”. Ci saranno i rappresentanti di alcuni enti gestori, soprattutto di RSA (fra cui il presidente di Uneba Lombardia) e la Presidente di Confcooperative Federsolidarietà Lombardia e portavoce del Forum del Terzo Settore regionale. A sollevare le criticità della DGR è stato il gruppo + Europa – Radicali. Il consigliere Michele Usuelli ripercorre le tappe di una delibera «approvata il 9 giugno e presentata in Commissione sanità il giorno dopo, abbiamo fatto un atto di fede, nessuno aveva avuto il tempo di studiarla, altrimenti le domande fatte quel giorno all’assessore sarebbero state diverse…», dice. Della delibera l’aspetto positivo – «che va sempre sottolineato», dice Usuelli – è che dà slancio alla telemedicina e al teleconsulto, che è molto utile a paziente e al medico» e «il capitolo carceri, quell’ufficio ha lavorato benissimo nella pandemia tant’è che i contagi sono stati pochissimi nonostante le carceri potessero essere una bomba a orologeria. Le Linee guida sulle carceri della Lombardia sono state chieste dall’OMS adesso che si sta preparando a scrivere la LG mondiali per il Covid in carcere». Per il resto? «Ci preoccupa molto, il primo tema è quello della totale assenza di corresponsabilità della politica regionale verso gli enti gestori, la responsabilità è completamente delegata a un referente Covid che ogni ente gestore deve individuare. La delibera impedisce la vita sociale non solo nelle RSA ma anche nelle RSD e nelle altre tipologie residenziali per persone disabili, dimenticando che il disabile non è necessariamente un malato. Invece queste regole, scritte nell’ottica di non avere problemi poi, vanno verso la segregazione delle persone con disabilità, per cui diviene così difficile uscire o così complicato rientrare dopo essere usciti, che uno è indotto a rinunciare alla socialità. Terzo punto è il protocollo diagnostico di ingresso per i nuovi ospiti, che prevede prelievo venoso per il sierologico e tampone, ma il prelievo venoso è molto discutibile. È necessario davvero? O non sarebbe meglio puntare sul tampone, magari reiterato? E se vogliamo fare la sierologia, perché non fare un test rapido che ormai è validato?». «Questa è la prima occasione in cui vedremo l’operato del nuovo Direttore Generale Trivelli, vedremo che capacità di ascolto riusciremo a conquistare e se riusciremo a cambiare alcuni dettagli importanti», dice Usuelli.

Valeria Negrini domani sarà audita in Commissione. Definisce «devastante» l’impatto di questa delibera: «basti pensare alle comunità per le dipendenze e la salute mentale, dove non ci sono grandi anziani in condizioni sanitarie estremamente fragili. E poi c’è il tema degli spazi: come può applicare una stessa regola una RSA da 120 posti letto e a una comunità da 8-10 posti?», si chiede. «La delibera non riconosce il fatto che le strutture non RSA hanno come finalità l’inclusione sociale, la riabilitazione, la promozione dell’autonomia e di conseguenza hanno bisogno di contatti con esterno, li cercano, li costruiscono. Questa delibera rende impossibili questi percorsi perché sì, puoi fare uscire le persone ma poi per farle rientrare devi sottoporle alla stessa procedura del primo ingresso». Proprio oggi, dice Negrini, «Regione ha inviato alle ATS una nota per dire che l’esempio del fine vita fatto nella DGR è da ritenersi appunto soltanto un esempio e che le visite dei parenti sono possibili anche per altre motivazioni».

È come se il tempo si fosse fermato, per Regione Lombardia. «Tutti noi siamo consapevoli che il momento è delicato e delle misure da applicare, lo stiamo facendo, abbiamo imparato. Siamo in grado di accogliere un nuovo utente a senza inutili lungaggini, le famiglie stanno aspettando da mesi i nuovi ingressi. Io capisco che il riferimento siano le indicazioni dell’ISS, che però sono del 17 aprile, sicuramente c’è bisogno anche che l’ISS emani un documento nuovo, però credo sia data facoltà alla regione di adattare le disposizioni al divenire del quadro epidemiologico…». In più, la delibera, per Valeria Negrini, è «disordinata», con un referente Covid che in alcuni punti «è descritto come un medico e in altri come una figura formata per coordinare i vari piani organizzativi e il fabbisogno di DPI, che è ben diverso da avere un medico esperto di infettivologia». Si addossano al sociosanitario e agli enti gestori compiti tipici della sanità pubblica, descritti infatti nell’art 4 della legge regionale 23 del 2015, prosegue Negrini, «che dice che spetta alle ATS e ASST il compito di prevenzione sanitaria e della salute collettiva». E ancora, «non c’è una parola sull’aspetto economico, che sta diventando drammatico», se non un «rimando a un impegno di Regione Lombardia a riconoscere i costi aggiuntivi, ma poi in una nota che dice che per le strutture private accreditate verrà erogato il 90% invece del 95%, interpretando in maniera sui generis un articolo del decreto rilancio: ma nessuna attività residenziali ha mai sospeso l’attività in questi mesi, anzi da mesi mettiamo risorse aggiuntive. E poi c’è anche un passaggio allarmante sulla revisione degli accreditamenti per addivenire a modalità di remunerazione che parla di DRG territoriali in sostituzione dei vari SOSIA oggi usati. Noi condividiamo che il sistema di accreditamento vada rivisto per renderlo più flessibile, meno oneroso dal punto di vista burocratico e più efficace nella capacitò di promuovere ciò per cui è nato, con l’introduzione di una valutazione degli esiti, ma questo processo ha bisogno di una forte concertazione con tutto il mondo non profit che gestisce il sociosanitario e non attraverso una frase inserita in una delibera che parla di altro».

Foto di Judita Tamošiūnaitė da Pexels


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA