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Cooperazione & Relazioni internazionali

Oggi se un problema non è Covid non esiste più

Con la pandemia non si parla più della guerra in Congo, di quella nello Yemen, di Haiti e dell’epidemia di morbillo in Repubblica Centrafricana. «La solidarietà, ricordiamolo, dobbiamo darla anche agli altri, anche fuori, dove tutto è complicato dalla guerra, dalla crisi climatica, dalla mancanza di risorse sanitarie adeguate», spiega Claudia Lodesani, presidente di Medici Senza Frontiere Italia e infettivologa

di Laura Solieri

Tutto quello che non è Covid, da alcuni mesi a questa parte, è scomparso dai riflettori: non si parla più della guerra in Congo, di quella nello Yemen, dove oltre alla guerra il Covid ha comunque avuto un impatto notevole, di Haiti, dell’epidemia di morbillo tra la Repubblica Centrafricana e il Congo…

«Il Covid ha cambiato il mondo e i rapporti sociali. Oggi si parla tanto di solidarietà, ma in modo monodirezionale. Tra di noi, in Italia, dobbiamo essere coesi, ma la solidarietà, ricordiamolo, dobbiamo darla anche agli altri, anche fuori, dove tutto è complicato dalla guerra, dalla crisi climatica, dalla mancanza di risorse sanitarie adeguate».

Ne parliamo con Claudia Lodesani, presidente di Medici Senza Frontiere Italia e infettivologa, che ribadisce in partenza un concetto importante: «Un’epidemia come quella del Covid-19 va gestita dai tecnici. Chi parla, di fatto, sono sempre i politici: avranno pure dei comitati tecnici, ma le decisioni sulla gestione di un’epidemia vanno prese da tecnici di sanità pubblica.

Non è possibile controllare un’epidemia se non si rinforza il territorio con i suoi medici di base, con il contact tracing, e se non si lavora con la comunità per arrivare a provvedimenti più condivisi e quindi più facilmente accettati – prosegue Lodesani – È così che si fa la differenza nella gestione di un’epidemia, e invece si parla solo di letti di ospedale e di terapia intensiva che sono le punte dell’iceberg».

Buona parte dei pazienti non ha bisogno dell’ospedale; se si rinforza il territorio, queste persone si possono gestire a casa, realizzando così anche un’importante opera di prevenzione. Il cittadino, inoltre, ha bisogno di un’informazione sensata, spiegata, per affrontare questo momento storico: i numeri non vogliono dire nulla se comunicati nelle modalità finora attuate.

«Uno dei problemi di questo intervento disorganizzato e frammentario è anche il fatto che da noi parte del sistema sanitario è privatizzato – dice Lodesani che con MSF lavora in 70 Paesi, portando avanti una serie di progetti che in questi mesi sono stati integrati per far fronte all’emergenza Covid – Stiamo già facendo presente da tempo all’Europa così come al governo italiano la necessità di fare in modo di togliere i brevetti a tutto quello che è legato al Covid, quindi farmaci e vaccini. Se manteniamo la logica del brevetto, sarà più difficile avere accesso per tutti alla cura e in un’epidemia mondiale non possiamo permetterci di escludere delle persone: non solo la situazione rimarrebbe incontrollabile, ma soprattutto in una situazione come questa dobbiamo respingere l’idea di fare business sulla salute delle persone. Se non cambia questo assioma “nuovi farmaci = brevetto”, chiaramente avremo degli stati come il nostro che hanno già precomprato dei vaccini e altri stati che non ne avranno accesso. Il rischio è per il singolo che non potrà essere vaccinato, ma è anche a livello di sanità pubblica perché vorrà dire che il virus continuerà a circolare».

Fino a fine anno, MSF è in partenariato con Sea Watch 4, anche se per vari ostacoli ammnistrativi ora la nave è bloccata come tutte le altre navi umanitarie: in questo momento, non ci sono navi che stanno facendo salvataggio. «Negli anni abbiamo perfezionato le nostre navi da soccorso e il paradosso è che ora le navi migliori e meglio attrezzate sono ferme. È questa la mancanza di solidarietà: è inaccettabile che questo avvenga. In mare la gente va salvata, si penserà poi a fare le politiche di accoglienza e di integrazione necessarie. Solamente nelle ultime 48 ore a Lampedusa ci sono state 1400 persone sbarcate, il centro è pieno. Ma la migrazione non è solo sbarco, non è solo Mediterraneo che è il più mediatico – conclude Lodesani – È anche accoglienza, sono anche le navi quarantena… Un mese fa ne abbiamo denunciato l’utilizzo perché finiscono per essere dei ghetti oltre a essere luoghi fortemente discutibili dal punto di vista sanitario, in cui i focolai si auto-alimentano. Ripensare la quarantena per queste persone è doveroso, non sulle navi ma ad esempio nei centri di accoglienza che sono molto meno pieni rispetto a prima».


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