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Education & Scuola

Liberare la creatività: una priorità per la scuola

C’è poco da fare: gli studenti amano o odiano la scuola in base a quanto essa riesce a liberare il loro potenziale, che neanche loro conoscono. Per la scuola quindi liberare la creatività degli alunni è una priorità assoluta, un imperativo. Ma quanti professori ne sono consapevoli?

di Livio Rossetti

Ci sono adulti che sanno essere creativi. Ci sono adulti che non hanno questo dono o almeno che non pensano proprio di sfoderare la loro creatività in contesti lavorativi, dopodiché può ben sembrare che loro forse questo dono l’avranno avuto, ma comunque ora non ce l’hanno. Poi ci sono le persone tipo Hagen dei Nibelunghi, che non sorridono mai, per cui di loro si può presumere che non saprebbero apprezzare un bel fiore (forse nemmeno una bella ragazza) e che in cima ai loro pensieri ci siano solamente i nemici su cui prevalere, il potere, gli affari – oppure le preoccupazioni e gli affanni della vita quotidiana – e poco altro. Accantoniamo, almeno per ora, le persone del terzo tipo.

Nelle nostre scuole, tra i professori, quanti sono del secondo tipo? Quelli che insegnano, spiegano, interrogano e danno i voti un po’ come la professoressa cui era indirizzata la famosa lettera di don Milani? Tanti, a partire da quelli che dicono che «l’insegnamento? È un lavoro come un altro».

Mi è accaduto di sentire dei giovani adulti che, ripensando ai loro tredici anni di scuola, hanno lamentato di aver avuto chi solo uno chi solo due prof almeno un po’ attenti, cioè non del tutto insensibili, alla loro creatività potenziale. Perché è alla singola bambina o bambino, ragazza o ragazzo che deve arrivare il messaggio giusto. E quando questo non arriva, il giudizio è fatalmente severo: «Non mi capiscono», anzi «non ci provano nemmeno, a capirmi». Come dire: il meglio di me era rannicchiato dentro e, se fosse stato per loro, lì sarebbe rimasto. Loro a tutto hanno pensato meno che a tirarlo fuori. Qualcuno ha scritto, d’altronde, che «Tutti i colori che ho dentro non sono ancora stati inventati»: considerazione che vale, ovviamente, anche per i suoni, i gesti, le parole, le idee e quant’altro.

Il rimprovero che viene fatto alla scuola è inquietante. Anche il migliore degli insegnanti sa che nei suoi anni di servizio non tutto è andato per il verso giusto, che di passi falsi ne ha fatti eccome, e quei passi falsi non hanno mancato di fare qualche vittima tra gli studenti. D’altro canto, uno “non nasce imparato”, giusto? Non si tratta di accusare o accusarsi, scusare o scusarsi. Come in tanti altri casi si tratta di mettersi a dipanare una matassa che è ben intrecciata.

Primo punto, il potenziale. Bambine e bambini, ragazze e ragazzi hanno un potenziale di cui loro stessi sono i primi a non saper quasi niente. Eppure sono due le cose che contano per davvero per bambini e ragazzi: da un lato la presenza – oppure l’assenza – di una persona che, loro lo capiscono, “mi vuol bene”, si interessa “a me”, per la quale “proprio io” conto qualcosa. Dall’altro una mano che aiuti ognuno a tirar fuori il meglio di sé. Bambini e ragazzi stanno bene con se stessi, hanno la sensazione di farsi largo, si sentono riconciliati con il mondo, guardano con ottimismo al nuovo giorno solo se e quando accadono queste due cose, o ne accade almeno una. Solo allora, infatti, qualcosa di ciò che era rannicchiato lì dentro trova il modo di uscir fuori, di manifestarsi e diventare parole, idee, suoni, gesti o una qualunque altra cosa.

Questa è la cosa di gran lunga più importante per tutti i minori, anche quando accade che dei bambini si ritrovino già trasformati in scolari diligenti che puntano fin troppo sull’approvazione dell’insegnante. Ne va del loro futuro. E in ogni caso, se “il miracolo” accade – se mentre si insegnava un po’ di inglese e un po’ di geografia è arrivato il modo di liberare energie, se ho avuto la sensazione che docenti e istituzioni avevano proprio voglia di darmi una mano e me l’hanno data – allora possiamo ben dire che scuola, docenti e personale non docente ce l’hanno fatta, mentre in caso contrario sarà pressoché inevitabile concludere che istituzione e operatori scolastici hanno fallito.

Qualche domanda: l’Invalsi che cosa ha fatto, fa e sa fare per intercettare questo tipo di variabili? Sa almeno che farebbe bene a prestarvi attenzione? Senza offesa, però. Riconosco infatti che, sullo specifico, potrei non essere informato. Più in generale, che livello di consapevolezza c’è, tra gli adulti che ‘fanno’ la scuola, sul fronte della promozione della creatività degli allievi? Quanti di questi adulti vi ravvisano una priorità? Per quanti è chiaro che, a dar loro una mano, poi si sentono meglio? E quanti no? E ai genitori glielo dite che ci devono provare anche loro?

Ma noi che ci possiamo fare? Qualcuno forse replicherebbe con un secco: «Non mettetevici pure voi, per favore, ho già una vita abbastanza complicata!». Altri se ne uscirebbero con un: «Ma sono già preoccupata per i miei figli, eppoi mio marito…»; altri persino dicendo (o almeno pensando): «Se lo volete proprio sapere, io ho altre priorità, per me l’insegnamento non è (non è mai stato) una priorità». La maggior parte dirà forse: «D’accordo, non pretendo di essere il docente ideale, ma non sono nemmeno il peggiore e, bene o male, un occhio per loro ce l’ho».

E voi, cosa rispondereste? A me, Livio Rossetti, viene da pensare che nella scuola il livello di attenzione per la creatività, che è una vera priorità, sia mediamente basso, che raramente l’obiettivo di spendersi per liberare ciò che può esserci di imbrigliato, di rannicchiato, di inascoltato e di chiuso nella soggettività di bambini e ragazzi viene percepito come un’incombenza addirittura primaria. Eppure c’è poco da fare: la variabile in base alla quale poi accade che gli studenti lascino l’istituzione scolastica con gratitudine oppure col broncio, se non con rancore, è costituita dalla creatività. La scuola ha saputo dare spazio alla loro creatività o l’ha repressa? È intervenuta più per dare corda e magari incanalare con mano felice, o più per frenare? La domanda concerne d’altronde anche chi sta a monte della scuola: amministratori e architetti, perché anche l’offerta di spazi e la loro configurazione facilmente esprimono un’attitudine a spingere oppure a frenare il dispiegamento delle potenzialità di bambini e adolescenti.

Un’obiezione: la promozione della creatività facilmente si sposa con il permissivismo. Rispondo che sì, è vero che la promozione della creatività si può confondere con il permissivismo, con la rinuncia alla fatica di imparare e con un perdere tempo inconcludente. Ma sta agli adulti di discernere in maniera giudiziosa.

Mettiamoci in testa che, se non costituisce già una grande priorità, l’impegno a dare spazi alla creatività di bambini e ragazzi dovrebbe diventare da subito una priorità per l’istituzione così come per ogni insegnante e ogni altro operatore scolastico. E il dirigente scolastico dovrebbe considerarsi strettamente tenuto a ricordarlo (a se stesso e a tutto il personale della scuola) e a regolarsi in conseguenza.

*Già professore di Storia della filosofia antica presso l’Università di Perugia, epserto di filosofi presocratici, autore del recentissimo Thales the Measurer (Routledge), è fondatore di Amica Sofia-Associazione italiana per la filosofia con i bambini e i ragazzi. Bellezza e creatività saranno al centro dell'edizione 2022 della Scuola Nazionale di formazione in filosofia con i bambini e i ragazzi promossa da Amica Sofia, che si svolgerà a Cerignola (Fg) dal 28 al 30 ottobre. Info su amicasofia.it

Photo by Steve Johnson on Unsplash


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