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Cooperazione & Relazioni internazionali

Troppi migranti morti senza nome. L’Europa si impegni per identificarli

«Dal 2014 ad oggi, oltre 40 mila migranti sono deceduti in mare nel tentativo di raggiungere l’Europa. La gran parte di questi cadaveri, ad oggi, non ha un nome», sottolinea Cristina Cattaneo, medico legale dell’Università di Milano e Direttrice del Labanof. «L’Europa intera collabori affinché venga riconosciuto il Diritto all’Identificazione dei Cadaveri senza Nome. In Italia sappiamo come fare»

di Sabina Pignataro

«Dal 2014 ad oggi, oltre 40mila migranti sono deceduti nel tentativo di raggiungere l’Europa via mare. La gran parte di questi cadaveri, ad oggi, non ha un nome», sottolinea Cristina Cattaneo, medico legale e direttrice del Labanof (Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Università degli Studi di Milano). Migliaia di loro sono morti in quelle acque, ma non c’è un sistema integrato per il conteggio delle morti, e molti di coloro che hanno perso la vita in mare non verranno mai portati a riva o se ci arriveranno probabilmente saranno depositati senza nome e senza funerale in un cimitero in Italia meridionale o in Grecia. «E’ urgente avviare un progetto di collaborazione europeo affinché venga riconosciuto il Diritto all’Identificazione delle migliaia di cadaveri tumulati senza nome nei cimiteri europei. L’Italia ha un modello che può essere esteso a tutti i Ventisette».

Sgretolare l’indifferenza e dare un nome

In occasione dei naufragi dell’ottobre 2013 e del 18 aprile 2015 l’equipe del Labanof effettuò sui cinquecentosessantasei corpi recuperati le analisi autoptiche, la catalogazione dei vestiti e degli oggetti ritrovati e mise i risultati al servizio dei familiari dei dispersi, per permettere loro il riconoscimento delle vittime. l percorso per arrivare a “dare un nome” alle vittime, come si legge nel libro, è stato molto lungo e articolato. È iniziato scontrandosi con un sentimento di indifferenza generale nei confronti di morti dalla pelle e dalla cultura diverse, di morti di altre realtà; ma in realtà la sensazione diffusa era più che quei morti non fossero di nessuno. I loro paesi di origine non li avrebbero cercati o identificati, mentre nei paesi di arrivo l’emergenza e la pressione dei migranti vivi era talmente forte che non c’erano risorse per dare dignità ai morti.

In quelle occasioni il Labanof è riuscito a realizzare un piccolo miracolo: «restituire una storia, un’identità e perfino la dignità» alle vittime senza nome dei naufragi del Mediterraneo. «Il corpo di un ragazzo con in tasca un sacchetto di terra del suo paese, l’Eritrea; quello di un altro, proveniente dal Ghana, con addosso una tessera della biblioteca; i resti di un bambino che veste ancora un giubbotto la cui cucitura interna cela la pagella scolastica scritta in arabo e in francese»: Cattaneo lo aveva raccontato nel suo libro, Naufraghi senza volto (Raffaello Cortina Editore, Premio Galileo 2019).

«Ora – rivendica Cattano – è fondamentale che la paradigma Labanof” diventi prassi a livello nazionale ed europeo».

Ora è fondamentale che la paradigma Labanof diventi prassi a livello nazionale ed europeo

Cristina Cattaneo

Perché è importante dare un nome

Il problema non è di poco conto, non solo perché stiamo parlando di esseri umani che hanno perso la loro vita, ma anche a causa delle famiglie e delle persone che continuano ad aspettare una chiusura emotiva che non arriva. «La mancata identificazione ha effetti di portata enorme non solo sul benessere psicologico dei familiari, ma anche ineludibili ripercussioni dal punto di vista burocratico», spiega Cattaneo.

  • «Prima di tutto è importante compiere ogni sforzo possibile per identificare questi cadaveri in ossequio alla dignità dei defunti e delle loro famiglie. Un diritto sancito e tutelato da plurimi contesti normativi».
  • Inoltre, aggiunge la medica, «in assenza di identificazione certa non può essere prodotto il certificato di morte, un documento fondamentale per aspetti civilistici ed amministrativi. Tra questi, l’impossibilità per un orfano di fruire della possibilità di essere ricongiunto con i familiari ancora in vita».

  • Il terzo aspetto riguarda il Diritto alla Salute, ed in particolare la salute mentale dei familiari in vita. «Come ormai ben noto a livello scientifico, l’impossibilità di avere la certezza che il prossimo congiunto sia effettivamente deceduto espone ad una condizione di limbo, definita “Ambigous Loss” (Perdita Ambigua). Questa condizione può essere prodromica allo sviluppo di quadri psicopatologici conclamati, tra i quali Sindromi Depressive».

  • In ultimo, in assenza di identificazione è preclusa ogni possibilità di ottenere giustizia per eventuali reati commessi ai danni del migrante, così come gli eventuali ristori economici di natura risarcitoria o indennitaria.

Lo scorzo marzo Cattaneo è intervenuta al Parlamento Europeo, alla riunione della Sottocommissione europea per i Diritti dell’Uomo, sottolineando come «l’identificazione di questi cadaveri è una responsabilità che grava sull’Europa. Ma ad oggi nessun sistema europeo di identificazione è mai stato attivato. Fanno eccezione tentativi sporadici da parte di NGO sforzi isolati da parte di equipe universitarie, piccoli stanziamenti da parte dei singoli Governi».

Cadaveri senza Nome: si può fare

«Ci sono famiglie che sono alla ricerca dei cadaveri dei propri cari e che hanno bisogno di un certificato di morte», spiega Cattaneo. «L’identificazione di questi cadaveri è possibile, e come tale è per noi imperativa. Abbiamo analizzato le falle nell’attuale sistema e individuato le possibili soluzioni al problema. Si tratta di soluzioni che impiegano risorse governative già esistenti. E’ necessario enfatizzare che questo tipo di attività debba svolgersi sotto l’egida dei governi, poiché prevede lo scambio di informazioni tra Ministeri europei ed il rilascio di documenti amministrativi. Il ruolo delle NGO potrà invece essere quello di assistere le famiglie e facilitarne i contatti con le agenzie governative europee».

Il Case Model Italiano

Dalla collaborazione tra l’Università di Milano e l’Ufficio del Commissario Straordinario per le Persone Scomparse (C.S.P.S.) del Ministero dell’Interno è nato uno studio pilota volto alla individuazione di un modus operandi efficace ed efficiente per l’identificazione dei migranti deceduti. (Qui le info sullo studio pilota Lampedusa e sullo studio pilota Catania-Melilli)

Il protocollo operativo

Questi gli step da attuare a livello europeo per una soluzione al problema dei Cadaveri senza Nome:

  • Istituire o, per le nazioni ove già esiste, implementare un database in ogni Stato europeo dove raccogliere tutte le informazioni su cadaveri senza nome e migranti scomparsi;
  • Istituire in ogni nazione almeno un hub dove le famiglie dei migranti scomparsi possano essere intervistate e i dati antemortem possano essere catalogati;
  • Incaricare un Manager europeo per le persone scomparse di incrociare i dati sui migranti scomparsi e quelli dei Cadaveri senza Nome raccolti dalle diverse agenzie nazionali;
  • Rendere obbligatorie la raccolta e condivisione dei dati antemortem e postmortem tra gli stati EU.

«Solo attuando questi step potremmo dire di aver implementato le procedure necessarie per ottimizzare le probabilità di identificare i cadaveri e, quindi, di tutelare i diritti delle vittime e delle loro famiglie. Ad oggi – conclude Cattaneo- nessuno si sta occupando di farlo».

Immagine in apertura, Tesori perduti la vignetta realizzata da Marco Dambrosio, in arte Makkox, per Il Figlio, l’inserto settimanale del venerdì del quotidiano Il Foglio, 17 gennaio 2019.


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