Welfare & Lavoro

Ceretti: «La giustizia riparativa è una vera rivoluzione culturale»

Adolfo Ceretti, criminologo e accademico all’Università di Milano-Bicocca, è lo studioso che ha ispirato e accompagnato i capitoli sulla giustizia riparativa della recente delega al Governo per la Riforma del processo penale. A lui chiediamo cosa rappresenti questa importante novità normativa. «Una vera rivoluzione culturale e vi spiego il perché»

di Riccardo Bonacina

Lo scorso 28 settembre il Consiglio dei ministri su proposta del Ministro della giustizia Marta Cartabia, ha approvato, in esame definitivo all’unanimità, tre decreti legislativi di attuazione della riforma della giustizia civile e penale e dell’ufficio per il processo. Tra questi quello riguardante l’Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari.

“Quelle norme prevedono la diffusione di una nuova cultura della giustizia”, dice la ministra Marta Cartabia che sottolinea l’importanza della parte sulla giustizia riparativa. “Una giustizia mite, ma niente affatto debole”, ha chiarito parlando a Milano al Festival della missione, a Milano, “il carcere è necessario, per mettere al riparo i cittadini da minacce e fermare la pericolosità di alcuni soggetti”. Ma può esserci una pluralità di risposte penali, come la messa alla prova, i lavori di pubblica utilità, tutte forme di ristoro per la società e per le vittime. E poi può esserci la strada parallela della giustizia riparativa, possibile solo con il consenso di entrambe le parti coinvolte, la vittima e il responsabile del reato. “L’autore di un reato guarda negli occhi la vittima e la vittima accetta di incontrarlo: si genera così una capacità ricostruttiva”.

Sottolinea la ministra, “questo risultato lo devo ad Adolfo Ceretti, alla sua tenacia e al suo libro che anni fa mi ha acceso una luce su questi percorsi (“Il libro dell’incontro” di Guido Bertagna · Adolfo Ceretti · Claudia Mazzucato, Il Saggiatore)”. Ed è proprio ad Adolfo Ceretti, criminologo e accademico all’Università di Milano-Bicocca, che chiediamo cosa rappresenti per lui e per tutti noi questa importante novità normativa.

Adolfo Ceretti: Questa Riforma non è una riforma tecnica e senza anima, come qualcuno ha pure detto, in realtà in modo non fittizio e surrettizio introduce una vera e propria rivoluzione culturale: come è scritto nella legge “in ogni stato e grado del procedimento e nella fase esecutiva della pena, viene introdotto un nuovo modello di giustizia”. Quello della giustizia riparativa, appunto. E, sottolineo, si prevede la possibilità di accesso ai programmi di giustizia riparativa in ogni stato e grado del procedimento penale e durante l'esecuzione della pena.

Professore, so che questo importante punto di approdo parte da lontano, da quasi trent’anni fa…

Iniziai a domandarmi confusamente se e come fosse possibile rendere meno crudele il trattamento del condannato dando, parallelamente, una visibilità e una concretezza allo statuto delle vittime: in sintesi, se e come fosse possibile costruire un sistema di giustizia che tenesse insieme, al centro della scena, vittime e rei all’inizio degli anni ’90. Alcune meditazioni del Cardinale Carlo Maria Martini rispecchiavano perfettamente i miei vissuti e alcune mie inquietudini di allora. Scriveva il cardinale: “La premessa è che, di fronte alla delinquenza e al crimine, è necessario “reagire”, opponendosi al male, senza per altro compiere altri mali e altre violenze”. E poi ancora: “Ne segue l’esigenza che i modelli sanzionatori non debbano ritenere scontate le modalità di risposta al reato fondate semplicemente sulla ritorsione, sulla pena fine a sé stessa, sull’emarginazione”. Il sistema penale, per come descritto dal Cardinale Martini, sembrerebbe corrispondere – almeno in parte – a una razionalizzazione della crudeltà, proprio perché la società continuerebbe a reintegrarsi dall’interruzione dell’ordine generata dalla condotta criminale per mezzo di un trattamento prevalentemente crudele: male, violenze, ritorsione, pena fine a sé stessa. Ciò che dunque traspare, in controluce, da queste notazioni è che dal linguaggio e dalle pratiche mondane – non solo quelle penali – andrebbe abolita ed epurata proprio la crudeltà, rendendo i sistemi della giustizia e le persone che li abitano più sensibili alle sofferenze e alle umiliazioni vissute – con percorsi esperienziali radicalmente differenti – da vittime e responsabili.

Sino a qui, le inquietudini, i pensieri, le riflessioni, ma le pratiche?

Per anni, quelli che tra noi si erano formati alla scuola di Jaqueline Morineau con la sua mediazione umanistica dei conflitti, provammo a mettere in campo esperimenti nel 1995 a Milano con Livia Pomodoro, poi a Torino e a Bari, esperimenti sul terreno della Giustizia minorile. Il Dipartimento Giustizia minorile provò anche a formulare delle Linee guida per Tribunali dei minorenni e per educatori, ma i tentativi di una riforma organica impattarono sempre o con il disinteresse o con l’incapacità di molta politica di portare a termine i percorsi iniziati. Ci provò seriamente Orlando nel 2018, poi il progetto di legge di Dori Devis. Ma c’è voluta tutta la capacità e la tenacia di Marta Cartabia per portare sino alla fine il provvedimento.

Come possiamo definire e come spiegare cos’è la Giustizia riparativa?

È un “contenitore privilegiato per accogliere il disordine”, cioè a dire l’insieme dei sentimenti, delle emozioni e delle passioni che le persone incontrano, esperiscono o, meglio, sentono quando si trovano gettate dentro a un conflitto che ha generato nel loro corpo e nella loro mente effrazioni e resti distruttivi. I conflitti di cui ci si occupa sono quelli in cui le persone coinvolte, a causa di un’offesa inferta o subita che rileva anche sul piano del diritto penale (una violenza morale o fisica, una violenza sessuale, una grave umiliazione), vivono un’esperienza esistenziale cruciale che le pone – pur se con percezioni differenti – in uno stato di profonda prostrazione e tumulto emotivo, che altera i confini dei loro sé. Muovendo da queste basi, i programmi di Giustizia Riparativa possono realmente rappresentare, in tutte le loro coniugazioni, un’opportunità di espressione, poi di comunicazione e, infine, di trasformazione di quel caos psico-emozionale che alberga abitualmente nei corpi delle vittime e dei perpetratori, e che inizia a essere vicendevolmente proiettato dal volto dell’uno verso quello dell’altro non appena accade un fatto criminoso. Questo significa che chi accoglie e ascolta i partecipanti è chiamato a ospitare anche il loro mondo razionale, i loro pensieri, le loro credenze, le loro valutazioni, le loro visioni del mondo e, appunto, i loro valori – anche se sono distanti dai suoi. Reato non è inteso semplicemente come un’offesa a un bene protetto dalle norme, ma la rottura di una relazione e una profonda ferità, individuale e collettiva.

Importantissimo sarà il ruolo dei mediatori…

Per questo, questa forma di “empatia cognitiva” richiede, da parte del mediatore, una vera e propria consapevolezza del diritto dell’altro di essere diverso da lui e da ogni altro suo interlocutore. Ovvero, chi media “deve”, attraverso la formazione che riceve, acquisire una “sicurezza interiore” e maturare una “flessibilità” capaci di rendergli tollerabile che tutte le parti possano sviluppare e sentire pensieri, opinioni e convinzioni diversi dai suoi. Le vittime, in particolare, dopo la commissione di un reato sono per lo più attraversate da un carico insopportabile di dolore fisico e psichico, di angoscia, di risentimento, di vergogna, di desiderio di vendetta e, ancora, da un fantasmatico senso di perdita del proprio statuto ontologico di sicurezza sociale. In società complesse come quelle attuali ciò significa, anzitutto, aiutare donne e uomini, giovani e adulti – unicamente se lo desiderano – a trovare linguaggi e punti di vista inediti, capaci di conferire al proprio paesaggio interiore una nuova configurazione semantica rispetto alle sequenze logiche e fattuali associate alla consumazione di un reato – sequenze che la giustizia ordinaria proietta esclusivamente verso la colpa, la condanna, la retribuzione e il risarcimento del danno.

Ora la scommessa, immagino, sarà proprio quella della formazione e della sensibilizzazione.

Proprio così, quanto è previsto dalla norma ora si deve tradure nei decreti attuativi che saranno in capo al nuovo Governo. E, come lei intuiva, la partita fondamentale sarà quella di strumentare la formazione dei mediatori e di sensibilizzare giudici e avvocati.


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