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Residenzialità per anziani: servizio pubblico, costi privati

Penultima tappa del nostro viaggio nelle Rsa d'Italia. Bollette quadruplicate alla Fondazione Biffi di Milano, con il paradosso di uno Stato che da un lato riconosce la specificità del servizio erogato agli anziani e giustamente esonera le Rsa dal “risparmiare” sul riscaldamento, ma dall’altro non prevede contributi per supportare l’aumento dei costi. «Urgono interventi ad hoc, non possiamo scaricare i costi sulle famiglie», dice il direttore generale Vincenzo Niro.

di Fadia El Hazaymeh

La bolletta dell’energia elettrica della Fondazione Biffi, una Rsa per anziani non autosufficienti nata nel 1960 a Milano, è passata dai 10mila euro di luglio 2021 ai 44mila di luglio 2022. «Abbiamo addirittura ricevuto la disdetta dal fornitore dell’energia elettrica e siamo stati costretti a trovarne un altro: ad un certo punto la questione non è stata neanche più di “quanto stai pagando l’energia” ma di trovare qualcuno ancora disposto a distribuirla», dice Vincenzo Niro, direttore generale presso la Fondazione Biffi, una Rsa per anziani non autosufficienti nata nel 1960 a Milano. Dinanzi all’aumento esponenziale del costo dell’energia, l’incremento delle rette dovrebbe essere dell’ordine del 10-15%: «Una strada non percorribile, anche perché la capacità economica dei nostri utenti non è infinita e sicuramente le loro pensioni non sono adeguate a sostenere tale spesa. Servono interventi di sostegno ad hoc».

Qual è l’impatto del caro energia sulla vostra struttura?

Quest’anno, a partire dal secondo trimestre, si sono visti tutti gli effetti dell’aumento energetico e siamo stati costretti a rivedere le nostre previsioni di budget: la forchetta sta oscillando tra i 600mila e gli 800mila euro di costi solo per le utenze. Stiamo parlando di un incremento considerevole, considerando anche che a differenza del biennio Covid, che ci ha visto in difficoltà per altre ragioni, finora non ci sono stati meccanismi compensativi o di supporto concreto che permettano di ripianare questi aumenti imprevedibili con contributi statali o regionali. Per quanto riguarda i costi diretti, la cosiddetta bolletta, a luglio 2021 era di circa 10mila euro e a luglio 2022 era di 44mila euro. Abbiamo addirittura ricevuto la disdetta dal fornitore dell’energia elettrica e siamo stati costretti a trovarne un altro: ad un certo punto la questione non era più “quanto stai pagando l’energia” ma se trovi qualcuno ancora disposto a distribuirla. Il problema è che non abbiamo solo un incremento dei costi diretti, ma anche una serie di altre voci che, indirettamente, aumentano per le stesse motivazioni: i nostri fornitori (la lavanderia, la tintoria, la ristorazione, lo smaltimento rifiuti speciali) hanno subìto anche loro questa maggiorazione dei costi e hanno iniziato a chiedere aumenti. Una ricerca recente condotta da Uneba ha evidenziato che la perdita economica per le nostre strutture nel 2022 sarà nettamente superiore a quella che abbiamo già vissuto biennio precedente per via del Covid: il caro energia sicuramente metterà in difficoltà molte Rsa.

Aumentare la retta sembra l’unica soluzione possibile… Cosa ne pensa?

Non è la soluzione. Per il momento, anche se con molta fatica, abbiamo deciso di non attuare un incremento di retta, auspicando che il legislatore nazionale o regionale intervenga al più presto in modo da non scaricare sui nostri ospiti i rincari che stiamo subendo: stiamo parlando di costi aggiuntivi pari al 10%-15% dell’attuale retta ma la capacità economica dei nostri utenti non è infinita e sicuramente le loro pensioni non sono adeguate a sostenere tale spesa. Come per le aziende energivore, dovrebbero esserci aiuti specifici per evitare che l’incremento dei costi lo paghino gli anziani.

Secondo lei quale sarà la conseguenza di questa situazione?

Credo che alcune Rsa potrebbero chiudere. Soprattutto però vedo il rischio che per pagare le bollette si venda il proprio patrimonio, derivante da lasciti testamentari, che è un grande aiuto nel sostentamento ordinario delle attività della struttura. In questo modo non si chiude oggi, ma si va a perdere quella patrimonializzazione che è fondamentale soprattutto per le strutture residenziali, perché siamo soggetti non profit e quindi le marginalità positive di fine anno vengono – giustamente – rimpiegate all’interno dei servizi stessi. Ma se la situazione resta questa non solo non avremo più quella marginalità positiva che ci serve per fare degli investimenti, ma addirittura perderemo la forza patrimoniale delle organizzazioni. Una doppia perdita: prima sul lato finanziario e poi su quello patrimoniale.

Riguardo a questa problematica, i problemi specifici delle residenze per anziani stanno avendo il giusto riconoscimento a livello nazionale?

Purtroppo questo problema è molto sottovalutato. Come è successo con il Covid all’inizio, anche adesso, i contributi per il Terzo settore e per il mondo delle Rsa sono ridotti: abbiamo dovuto attendere il Decreto Aiuti ter per iniziare ad essere considerati dal punto di vista legislativo. Un elemento positivo è che il decreto di Cingolani con le nuove indicazioni di orari e temperature per il riscaldamento esclude le Rsa: non abbiamo l’obbligo di modificare la stagione termica in modo da risparmiare, giustamente direi, perché non si possono lasciare al freddo i nostri ospiti. Questo mette in evidenza che noi dobbiamo comunque garantire un determinato standard energetico, ma lo facciamo senza alcun riconoscimento economico rispetto allo sforzo che ci è chiesto. Manca la percezione delle difficoltà del mondo delle Rsa, che già venivano da un biennio difficile: per versi diversi stiamo rivivendo quello che abbiamo vissuto con il Covid, una “non considerazione iniziale”.

La nostra inchiesta sull'impatto del caro-energia sulle RSA ha toccato finora:


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