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Il figlio del prete. Storia di don Michele e Mohamed

Un prete cattolico che adotta un giovane uomo musulmano salvandolo dall'espulsione dall'Italia. Una storia a lieto fine nella diocesi di Tortona. Mohamed arriva dalla Guinea, viene accolto in un CAS (Centro di Accoglienza Straordinaria), ma i Decreti Salvini lo mettono fuori dal sistema di accoglienza che riconosceva solo i titolari dello status di rifugiato. Inizia una corsa verso l'unica salvezza: l'adozione da parte di don Michele.

di Gabriella Debora Giorgione

Ha accolto uomini e donne provenienti da ogni parte del mondo: America Latina, Ecuador, Colombia, Venezuela, Argentina, Africa, Marocco, Tunisia, Cuba, Albania, Cina, Egitto, Malawi, Congo, Etiopia, Eritrea, Siria, India, Sri Lanka e Guinea.
Tra corridoi umanitari, detenuti ai domiciliari e rifugiati, nella sua casa canonica di Codevilla sono passati centinaia di uomini e donne con storie di fragilità e violenza. Poi, nel 2018, a Codevilla arriva Mohamed, un ragazzo della Guinea. E per don Michele Chiapuzzi inizia un’altra storia di accoglienza.
Mohamed Conte è nato a Mamou nel 1987 e nel 2016 è fuggito dal suo paese per motivi politici e di persecuzione. Laurea in Scienze della comunicazione e dell’educazione nell’Università Lansana a Conakry, musulmano, approda in Italia dopo un viaggio tra Mali, Mauritania, Libia. Per lui si aprono le porte del CAS (Centro di Accoglienza Straordinario) di Zavattarello, in provincia di Pavia. Le cose si mettono male, siamo nel periodo dei cosiddetti decreti Salvini e per Mohammed arriva l’espulsione dal CAS.

La salvezza arriva da Brigitte e Caterina, due amiche, la prima volontaria nel CAS, la seconda proprietaria di una storica azienda vitivinicola di Codevilla. Caterina assume Mohamed, che si salva così dall’espulsione. Ma per lui occorre avviare la pratica della richiesta di asilo in Italia. Caterina chiede aiuto a don Michele che accoglie Mohamed nella casa canonica. Comincia, così, un lungo e complesso percorso per il riconoscimento dello status di rifugiato, che alla fine ha un esito sfavorevole per Mohamed. Sono passati due anni e per Moha – come ormai è chiamato qui, nella sua nuova casa e nella sua nuova città – sembra non esserci più nulla fare se non il rimpatrio in Guinea, da dove era fuggito.

È in questo momento che a don Michele viene in mente l’ultimo tentativo. Ne parla con Moha, ne parla con alcuni avvocati, ne parla con alcuni amici e decidono: adozione.
È una scelta che apre ad una dimensione esistenziale di notevole impegno: don Michele, prete cattolico, decide di diventare padre di Mohamed, uomo musulmano orfano fin dalla nascita.
Tra il Natale e il trentuno dicembre del 2020, don Michele e gli avvocati milanesi ai quali si rivolge – tutti esperti in diritto di famiglia e adozioni, che prendono a cuore la storia e rinunciano al proprio compenso – depositano la richiesta di udienza in Tribunale a Pavia. Il giorno dopo l’Epifania, la giudice fissa l’udienza per aprile 2021, un tempo inaspettatamente veloce per la giustizia italiana: due aprile, per la precisione, che cadeva di Venerdì Santo.
«In udienza – racconta don Michele – la giudice è rimasta colpita quando ha interrogato Moha su quali fossero le motivazioni che lo spingessero ad accettare l’adozione. Ricordo che Moha disse “Quando conobbi don Michele subito dentro sentii un’emozione strana, era come se avessi trovato mio padre”», conclude don Michele emozionato.
Passano solo quattordici giorni e la sentenza è favorevole: Moha diventa ufficialmente Mohamed Chiapuzzi Conte. «Era il sedici aprile, il giorno di Santa Bernadette Soubirous, la bambina di Lourdes. Moha divenne per la legge italiana un uomo libero. Ma soprattutto si percepì finalmente come uomo libero», dice don Michele.

Un prete cattolico e un uomo musulmano: padre e figlio per scelta libera. «Abbiamo innanzitutto condiviso la fede, la fede in un unico Dio», racconta don Chiapuzzi, che confessa «Mi è capitato di veder pregare Mohammed qualche volta e mi sono commosso. Nel pregare c’è un buttarsi dentro ad un mistero più grande, quello che Pascal chiama la ragione del cuore, che è incommensurabile perché rappresenta le ragioni della vita che ognuno ha nelle proprie esperienze»

Moha adesso vive ancora in casa Chiapuzzi, nel frattempo ha studiato, ha ottenuto il diploma di licenza media, ha preso la patente e fa l’autista di camion, trasporta in tutta l’alta Italia.
È papà di una bimba, Linda (all’anagrafe Dalanda) di 12 anni, avuta da un’unione giovanile che cresce con la nonna paterna e da poco si è sposato con Dijenabou, con “papà don Michele” presente alle nozze in Guinea. Linda e Dijenabou, però, vivono tutt’oggi a Mamou, le pratiche per il ricongiungimento sono molto complesse.
«Il mio sogno è di costruire in Guinea una casa per bambini orfani», dice Moha in collegamento da Mamou, dov’è andato per qualche giorno a trovare la sua famiglia.
Don Michele – che arriva al sacerdozio in tarda età – lo guarda, sorride, e parla di misericordia e di speranza, li definisce un mistero grande e un anelito di futuro.


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