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Libere di vendersi?

Una persona può essere libera di vendere il proprio corpo? È una scelta veramente libera? Sono domande a cui hanno cercato di rispondere Valentina Pazé e Giorgia Serughetti in un attento dibattito che si è svolto nell’ambito della Biennale Democrazia in corso in questi giorni a Torino

di Fabrizio Floris

Libere di vendersi? Una persona può essere libera di vendere il proprio corpo? È una scelta veramente libera? Sono domande a cui hanno cercato di rispondere Valentina Pazé e Giorgia Serughetti in un attento dibattito che si è svolto nell’ambito della Biennale Democrazia in corso in questi giorni a Torino. Senza troppi convenevoli si è entrati subito nel merito di problemi che riguardano scelte individuali, ma di alta valenza pubblica perché riflettono la società. La prima parola che Valentiza Pazè introduce è partenalismo: uno Stato è paternalistico quando dice di sapere meglio di noi qual è il nostro bene (lo Stato agisce come un padre). Ma la sovranità su di sé, è minacciata non solo dallo Stato (paternalistico), ma anche dal mercato. «La libertà sessuale rientra tra i diritti fondamentali, ma è altra cosa dal vendere dei servizi sessuali. Vi sono divieti espliciti e obblighi che non sono liberticidi, ma difendono la libertà: ad esempio, prosegue Pazé, il divieto di rinunciare alle ferie non è partenalistico come non lo è il congedo di maternità obbligatorio. Occorre pensare alle persone soprattutto a quelle in condizione di maggiore vulnerabilità. Quindi anche in riferimento alla prostituzione vincoli alla libertà possono risultare essere di effettiva difesa della libertà. La prostituzione viene oggi evocata come libertà delle donne di prostituirsi. Fino a qualche tempo fa si parlava di funzione sociale della prostituzione oggi questo è passato in secondo piano. Il focus è sulla libertà. Le testimonianze di vita vissuta, le verità soggettive, descrivono la prostituzione da un lato, come attività degradante, stupro a pagamento, dall’altro come autodeterminazione, libertà di scelta, autonomia. Per alcuni sono sex workers, per altri vittime, per altri schiave oppure sopravvissute.

«Ma, spiega Pazé, occorre andare oltre la verità soggettiva. Bisogna mettere a confronto le parole con i lividi, le ferite. Una persona può dire che l’altro la ama, che è una brava persona, ma poi la picchia. Noi dobbiamo ascoltare, ma vedere anche i lividi. E quello che si può osservare è che la prostituzione è un’attività pericolosa: i rischi della prostituzione sono molteplici, danni fisici, psichici (tutti i meccanismi psicologici che vengono messi in atto da chi ha bisogno di dissociare la mente dal corpo). È un mestiere oggettivamente pericoloso quindi non può essere trattato come un lavoro come un altro».

Giorgia Serughetti introduce il tema della consapevolezza, della disuguaglianza e di tutti i fattori che possono pre-condizionare la scelta. «Qual è il confine tra autodeterminazione e asservimento? Il bene delle donne è dentro un nuovo controllo fatto di una libertà modellata sul mercato». La legge Merlin in Italia ha in effetti portato ad una diminuzione della prostituzione almeno fino agli anni ‘80. La migrazione e la tratta hanno ripopolato il processo prostitutivo ed è forse venuto meno l’assioma prostituzione/povertà. Sono emersi gruppi, organizzazioni che rivendicano il lavoro sessuale: sono nate le sex workers.

I Paesi hanno provato a normare con approcci molto diversi il fenomeno da un lato Germania, Olanda e Svizzera introducono norme che equiparano la prostituzione ad un qualsiasi lavoro, in altri Paesi vi sono leggi che puniscono i clienti e gli sfruttatori (Svezia, Norvegia, Islanda) mentre in altri ancora è illegale la prostituzione stessa (Turchia, Bielorussia..). Sono tutti modelli che hanno cercato di agire seguendo, in prevalenza, una logica delle conseguenze, ma quali sono i valori in gioco? Tra il fare la vita o fare un’altra vita c’è uno scarto? Alla fine secondo Giorgia Serughetti «nel mondo che vogliamo la prostituzione non ci sarebbe». In quello che abbiamo stiamo sul confine della libertà, ma con lo sguardo rivolto all’orizzonte.


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