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Vaccini, gli Stati hanno investito il doppio delle imprese farmaceutiche

Uno studio condotto da tre ricercatori italiani su richiesta del Parlamento europeo ribalta la narrazione sentita negli ultimi tre anni: per i nove vaccini esaminati dalla ricerca, si stima che le imprese hanno realizzato investimenti complessivi per 16 miliardi di euro, a fronte dei 30 miliardi provenienti dai governi. Addirittura, in buona parte erogati prima che i farmaci venissero autorizzati

di Redazione

Con l’eccesso di risorse finanziarie riversate alle imprese farmaceutiche per non avere fatto valere il proprio decisivo contributo, i governi avrebbero potuto rafforzare i sistemi sanitari pubblici. Lo sostiene un gruppo di ricercatori italiani che ha realizzato uno studio su richiesta del Parlamento europeo, Commissione speciale sugli insegnamenti da trarre dalla pandemia. Massimo Florio e Simona Gamba (Università di Milano) e Chiara Pancotti (Csil) spiegano che “il contributo decisivo nell’individuazione e sviluppo dei vaccini che hanno concorso a salvare le vite di cittadini e cittadine dalla pandemia Covid-19 in Europa, negli Usa e altrove, è venuto dagli Stati, cioè dai contribuenti, che hanno messo a rischio i propri fondi ben più di quanto abbiano fatto le imprese, sia nella ricerca e sviluppo, sia nell’avvio delle produzioni. È dunque una realtà del tutto diversa dalla narrazione secondo cui i risultati ottenuti con i vaccini si devono soprattutto al rischio assunto dalle imprese farmaceutiche”.

Lo studio presenta la prima stima mai effettuata di quanti investimenti le imprese e gli Stati, il privato e il pubblico, hanno realizzato per individuare e sviluppare i vaccini prima di sapere che funzionassero (quindi investimenti “a rischio”). Per i nove vaccini esaminati dallo studio, la ricerca ha stimato che le imprese hanno realizzato investimenti di cinque miliardi di euro per ricerca e sviluppo e di 11 miliardi per investimenti produttivi prima di avere la certezza di vendita, per un totale di 16 miliardi. A fronte di essi, dall’esterno, in quasi completa provenienza dagli Stati, sono arrivate alle imprese sovvenzioni a fondo perduto di nove miliardi per ricerca e sviluppo (con enorme variabilità fra imprese riceventi e in larga misura dagli Usa) e 21 miliardi di accordi di acquisto anticipati (in parti simili da Usa e Unione Europea), cioè prima dell’autorizzazione dei vaccini stessi, per un totale di 30 miliardi di euro.

«In sintesi, la maggior parte del rischio finanziario che ha consentito la realizzazione dei nove vaccini esaminati è stata assunta dal settore pubblico, non dalle imprese», commenta Fabrizio Barca, co-coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità – ForumDD. «Questo dato nega, in primo luogo, che gli elevatissimi extra-profitti realizzati dalle imprese farmaceutiche nella vendita dei vaccini che, per alcuni di essi hanno raggiunto decine di miliardi di euro per singola impresa, siano in qualche misura giustificati dal rischio di mercato da loro assunto. Un rischio due volte maggiore è stato assunto dagli Stati con mezzi delle persone contribuenti (di oggi o di domani). Ma a fronte di tale rischio, gli Stati non hanno esercitato la funzione di governo e controllo delle decisioni di prezzo e distribuzione che competono a chi si assume la maggioranza del rischio».

Una distorsione che rischia di aggravarsi ulteriormente nell’immediato futuro, visto che Moderna e Pfizer hanno annunciato di volere quintuplicare il prezzo a dose portandolo a circa 100 dollari dagli attuali 20, e che l’immunizzazione dura solo pochi mesi. Per cui si ricomincerà a dover pagare un conto illimitato. Per di più, argomenta lo studio, senza che i fortissimi differenziali di prezzo fra i diversi vaccini siano accompagnati da alcuna valutazione delle differenze nella loro efficacia.

È evidentemente necessaria una forte correzione di rotta per affrontare in tutt’altro modo i possibili sviluppi dell’attuale pandemia e ogni simile emergenza. La scelta sin qui compiuta dall’Unione Europea con Hera non va in questa direzione, ma conferma la logica delle sovvenzioni pubbliche in attività di ricerca e sviluppo su cui gli Stati non hanno voce. «Occorre un intervento pubblico europeo per prevedere e affrontare le prossime pandemie e per altre emergenze già visibili», è il parere del ricercatore Massimo Florio, che è anche membro del ForumDD. «In campi cruciali per la salute, serve la messa a punto di farmaci, vaccini, diagnostica e altri rimedi, da offrire ai cittadini come beni comuni: con Ricerca e Sviluppo anche in collaborazione con imprese private, ma mantenendo fermamente sotto controllo pubblico la “proprietà intellettuale” e le decisioni strategiche su tutto il ciclo dell’innovazione biomedica e del farmaco in quei campi».

Lo studio argomenta che nell’immediato è necessario normare a livello europeo la condivisione delle decisioni di prezzo e distribuzione fra privato e pubblico in relazione all’entità dei rispettivi investimenti. A regime, la strada appropriata è quella di avviare la costruzione di un’infrastruttura pubblica, come quella proposta nello studio precedente Biomed Europa, svolto dagli stessi economisti per lo Science and Technology panel del Parlamento europeo (Stoa), a partire da una idea maturata già nel 2019 nel ForumDD. Lo studio verrà illustrato in Italia il prossimo 12 aprile alle 11 alla Fondazione Basso di Roma, durante un evento sul tema decisivo di come fermare il processo di concentrazione della conoscenza, che è causa primaria delle gravi, accresciute disuguaglianze e ingiustizie.


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