Cooperazione & Relazioni internazionali

La crisi dei mercati sta mettendo in ginocchio il continente

di Giulio Albanese

Di questi tempi sono pochi i giornali che danno spazio all’Africa. Sembra quasi che la parola “crisi” sia appannaggio esclusivo dei mercati finanziari, mentre invece è proprio il profondo Sud a pagare il prezzo più alto. Basta leggere attentamente le dichiarazioni rilasciate la scorsa settimana da Louis Kasekende, capo economista della Banca africana di sviluppo (Adb), per rendersi conto della gravità della situazione in cui versa il continente. Interpellato a margine del Forum economico internazionale sull’Africa 2009, Kasekende non ha esitato a confessare la sua paura più grande e che cioè “il reddito pro capite in Africa risulti più basso della crescita demografica, cosa che farebbe nuovamente precipitare la gente in condizioni di penosa indigenza”. D’altronde le previsioni dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse) non sembrano affatto dargli torto pronosticando per il 2009 un “brutale rallentamento” della crescita del continente, con un tasso del Prodotto interno lordo (Pil) per il prossimo anno che dovrebbe attestarsi attorno al 2,8%, contro il +5,7% registrato nel 2008. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha un quadro della situazione ancora più fosco se si considera che in una proiezione pubblicata lo scorso 22 aprile aveva già sottolineato come l’area dell’Africa Subsahariana registrerà un pil in salita di non oltre l’1,8%. Sta di fatto che Paesi come il Kenya e lo Zambia sono stati costretti a farsi concedere prestiti d’emergenza dal Fmi a causa dei problemi legati alle riserve in valuta estera. A questo proposito il messaggio che Kasekende ha lanciato è chiaro: i Paesi ricchi devono “mantenere i loro impegni” in termini di aiuto allo sviluppo perché la recessione mondiale sta davvero mettendo in ginocchio l’Africa. Stando ad un rapporto congiunto pubblicato lo scorso maggio dall’Ocse e dall’Adb anche l’economia angolana, che in questi anni era cresciuta grazie al fiorente business del petrolio, nel 2009 dovrebbe registrare una contrazione del 7,2% del Pil. Per non parlare del Sudafrica che dovrà misurarsi addirittura con una recessione dell’1,1%, causata soprattutto dal crollo delle esportazione di minerali e dal congelamento degli investimenti. Ma per comprendere meglio la portata della crisi, basti pensare che secondo i World Database Indicators della Banca mondiale il Pil dell’Africa Subsahariana nel 2007 ammontava complessivamente a 761 miliardi di dollari Usa (per l’esattezza 760,982,826,596), mentre nello stesso anno quello dell’Italia era molto vicino ai due trilioni (per l’esattezza 1,988,232,609,792). In sostanza, se il divario tra ricchi e poveri era già così pronunciato due anni fa, oggi la recessione globale sta letteralmente polverizzano quei pochi miglioramenti che erano arrivati, negli ultimi anni, ad alleviare le sofferenze di molti Paesi, provocando un sensibile aumento della povertà. E come se non bastasse, c’è da rilevare che già nel 2007, l’Ocse aveva già rilevato che i Paesi ricchi, ovvero i maggiori donatori al mondo, stavano riducendo l’ammontare dei loro aiuti destinati al Sud del mondo. Nel caso dell’Africa Subsahariana, esclusa la cancellazione del debito, questa quota era sì rimasta stabile, nonostante però l’impegno assunto in sede internazionale dai Paesi del G8 durante il vertice di Glengeales del luglio 2005, diretto al raddoppiamento degli aiuti al continente entro il 2010. A questo punto, considerando che il fenomeno dei tagli si è acuito considerevolmente negli ultimi dieci mesi, la Comunità internazionale non può stare alla finestra a guardare, soprattutto tenendo presente che sono africane le principali crisi umanitarie del pianeta, quelle del Darfur e della Somalia. È pertanto doveroso un deciso intervento a sostegno del continente africano da parte del prossimo vertice dei G8 de L’Aquila sotto la presidenza italiana, il primo a cui prenderà parte il nuovo inquilino della Casa Bianca, Barack Obama. Lungi da ogni retorica, sarebbe ora che maturasse la visione di un sistema globale di relazioni e di interdipendenze reciproche a cui non è affatto estranea la questione migratoria che interessa il nostro Paese.


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