Cooperazione & Relazioni internazionali

Africa, lo sport è un’occasione di riscatto per il continente

di Giulio Albanese

Olimpiadi di Roma, 10 settembre 1960. I piedi scalzi di Abebe Bikila calpestano il selciato dell’Appia Antica. Magro, allampanato, indossa una canottiera con impresso il numero “11”. Fino ad allora ha corso soltanto due maratone ufficiali, ma ha fiato da vendere e lo dimostra con straordinaria disinvoltura e scioltezza atletica. Bikila diventa subito leggenda, segno evidente del riscatto dell’homo africanus che l’epopea coloniale aveva prepotentemente ridotto al rango servile.

Sono trascorsi cinquant’anni dai Giochi di Roma e oggi gli atleti africani sono ormai una realtà consolidata sulla scena sportiva internazionale. Calcio, atletica e pugilato annoverano veri e propri campioni provenienti dal continente, lasciando pensare che nei prossimi anni l’Africa sarà la “superpotenza” nelle varie discipline delle competizioni internazionali. Sono in molti a domandarsi quale sia il segreto delle doti strabilianti degli sportivi africani, in particolare in riferimento ai corridori degli altopiani come Bikila. Rimane il fatto però che le popolazioni “afro” – poco importa se oggi presenti nelle Americhe o nel continente africano – si stanno imponendo per le loro risorse fisiche e la grande tenuta psicologica. Naturalmente le difficoltà non mancano, in quanto in molte discipline sportive l’Africa stenta ad aprirsi un varco sulla scena mondiale a causa soprattutto della mancanza di impianti sportivi e di adeguate risorse finanziarie. Proprio per questi motivi nuoto, pallavolo, pallacanestro e tennis sono poco praticati e solo occasionalmente si registrano campioni di livello internazionale. Il primato comunque nella quasi totalità delle discipline sportive a livello continentale è del Sudafrica, scelto per lo svolgimento del primo campionato mondiale di calcio in terra africana. Questo Paese infatti rappresenta un’eccezione rispetto al resto dei paesi africani con usi, costumi, abitudini e tradizioni marcatamente europee. Naturalmente le opportunità di praticare lo sport in Sudafrica sono rivolte soprattutto ai ceti benestanti, mentre le classi sociali meno abbienti, che peraltro costituiscono la maggioranza della popolazione, vivono in condizioni di grande emarginazione anche per quanto concerne le attività agonistiche.

Una cosa è certa: lo sport in Africa sortisce un effetto magico, quasi inebriante sul pubblico e soprattutto sui giovanissimi quando una disciplina consente di avere visibilità a livello internazionale attraverso i propri campioni. Per il calcio, è il caso di Eto’o (Inter), Adiyiah (Milan), Asamoah, Badu (Udinese), Sissoko (Juventus), Diamoutene (Bari), Ghezzal (Siena), Meghni (Lazio), che sono diventati famosi militando nel nostro campionato. Da rilevare a questo proposito che laddove il successo riguarda la propria rappresentativa nazionale, impegnata per esempio nei Mondiali, si scatena sugli spalti una scarica adrenalinica di patriottismo che finora nessuna formazione politica africana è mai riuscita a innescare. Ecco che allora quando il Camerun, la Nigeria o la Costa d’Avorio scendono in campo contro squadre blasonate come quelle italiana, inglese o spagnola, si scatena un tifo indicibile che coagula tutti i gruppi etnici presenti in questo o quel paese africano. Le contrapposizioni svaniscono portando alla ribalta lo spirito istintivo, disarmante e palpabile della négritude, tanto cara a certi intellettuali come il senegalese Léopold Sédar Senghor. Emblematica è stata la testimonianza dell’attaccante del Chelsea, Didier Drogba, che ha avuto un ruolo profetico durante la guerra civile in Costa d’Avorio. Al culmine della crisi ha visitato la città di Bouaké, nella zona del paese in mano ai ribelli, e qualche tempo dopo ha chiesto e ottenuto di organizzare lì una partita della nazionale. È stato proprio lo sport, in quella circostanza, più della politica, a convincere la popolazione che la Costa d’Avorio era ancora un paese unito. Finora però i cosiddetti “big match”, a parte la Coppa d’Africa, si sono sempre svolti fuori del continente. Quest’anno invece, per la prima volta, l’Africa vedrà i suoi campioni giocare per il Mondiale di calcio negli stadi di Pretoria, Johannesburg, Rustemburg, Città del Capo, Durban. L’aspetto economico è comunque quello che condiziona maggiormente lo sport africano, non foss’altro perché i governi locali, soprattutto di questi tempi, sono alle prese con gli effetti della grave crisi finanziaria che ha colpito i mercati internazionali. La riduzione degli aiuti dall’estero determinata dalla recessione del Pil nel Primo mondo, oltre alla crescita del debito in molti paesi, ha praticamente cancellato i già scarsi investimenti nello sport. Per non parlare della cronica instabilità di alcune regioni determinata da colpi di stato, guerre, inedia e pandemie che penalizzano le stremate popolazioni locali.

Detto questo, comunque, la passione di correre e giocare è un qualcosa d’impresso nel cuore e nel corpo della gente per cui, ad esempio, in Costa d’Avorio, su 18 milioni di abitanti, nonostante i disastri generati dalla crisi politica, ci sono più di 300 accademie dove si insegna a giocare a pallone. Il vivaio calcistico più importante in questo paese è quello degli “Asec Mimosas”, acronimo di “Amicale sportive des employés de commerce”, ad Abidjan. Il settore giovanile di questa società è considerato dagli osservatori uno dei gioielli del calcio africano che ha lanciato grandi campioni quali i fratelli Kolo e Yaya Touré, Aruna Dindane, Salomon Kalou, Didier Zokora, Emmanuel Eboué e Gilles Yapi. Per carità, non è assolutamente scontato che i giovani talenti di oggi saranno atleti necessariamente di successo, ma sicuramente alcuni di loro, i più fortunati, diverranno antilopi per il supercompetitivo calcio europeo. Esiste d’altronde un vivissimo interesse nel mondo calcistico occidentale per i vivai africani. Per quanto concerne il calcio, come anche l’atletica, soprattutto nel passato, vi sono state delle polemiche riguardanti una vera e propria tratta operata da “talent scout” ai danni di giovani africani. Negli ultimi anni, decine di calciatori africani si sono affermati nei più importanti campionati europei e molti campioni di atletica, soprattutto keniani ed etiopici, hanno trovato nell’agonismo l’agognato successo. La maggior parte di loro ha avuto un’infanzia difficile, dovendo peraltro superare non pochi ostacoli per farsi strada. Non c’è da meravigliarsi dunque se oggi molti di loro vogliano fare qualcosa per i bambini africani e le giovani promesse. Ad esempio Patrick Vieira, giocatore della nazionale francese nato in Senegal, ha fondato una scuola calcio a Dakar, mentre il capitano della nazionale ghanese Stephen Appiah ne ha fondata una nel suo paese per aiutare i ragazzi a sfuggire alla miseria. Purtroppo molte scuole di calcio sono oggi alle prese con gravi problemi finanziari perché dipendono quasi esclusivamente dagli stipendi dei calciatori professionisti, alcuni dei quali sono ormai a fine carriera. Le potenzialità degli africani in campo sportivo sono comunque indiscutibili. Si tratta davvero di un settore che, se opportunamente valorizzato, potrebbe contribuire a promuovere il riscatto di un continente che ha decisamente voglia di voltare pagina.


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