Cooperazione & Relazioni internazionali

Elezioni domani in Etiopia, Zenawi ci riprova

di Giulio Albanese

Elezioni domani in Etiopia. Le previsioni della vigilia danno ormai per scontata la rielezione del primo ministro uscente Meles Zenawi, il cui Fronte Rivoluzionario Democratico del Popolo Etiopico (Eprdf) è accusato di repressione nei confronti dell’opposizione politica. D’altronde è una vecchia storia: già nelle manifestazioni di piazza che seguirono la precedente vittoria di Zenawi, nella tornata elettorale del 2005, almeno 200 persone vennero uccise e centinaia di esponenti politici arrestati. Successivamente, stando ad autorevoli organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani, si sono verificati episodi repressivi analoghi, sebbene il governo abbia sempre respinto decisamente ogni addebito. Alle urne domani sono attesi circa 32 milioni di elettori, per il rinnovo sia del parlamento nazionale che dei nove parlamenti regionali. Una competizione giudicata incandescente, i cui risultati definitivi saranno annunciati il 21 giugno dalla commissione elettorale nazionale, anche se i dati provvisori potrebbero essere resi noti a 48 ore dalla chiusura dei seggi. Il problema di fondo è che Zenawi è in sella al potere dalla caduta del regime del colonnello Mengistu Haile Mariam, meglio conosciuto come il “negus rosso”, costretto alla fuga nello Zimbabwe nel maggio 1991.

Sta di fatto che d’allora, nonostante la liberazione dal regime di Mengistu, le aperture democratiche in Etiopia si sono gradualmente assottigliate. Una sorta di “giro di vite” sintomatico della preoccupazione di Zenawi nei confronti dei cosiddetti rigurgiti indipendentistici di alcuni gruppi etnici come gli Oromo, per non parlare della riottosa regione dell’Ogaden, al confine con la Somalia. E proprio a proposito di Somalia, culla dell’estremismo di matrice jihadista in territorio africano, Zenawi ha sempre guardato ai vicini di casa con grande diffidenza, addirittura inviando un contingente militare in territorio somalo (finanziato da Washington) con l’intento dichiarato di spazzare via nel 2006 le Corti Islamiche. Una missione che in un paio d’anni s’è rivelata fallimentare, i cui effetti peraltro hanno acuito la radicalizzazione del confronto tra moderati ed ed estremisti. Detto questo, è bene rammentare che l’Etiopia vanta un cristianesimo millenario, anche se appare costantemente esposta ad una contaminazione di matrice islamica, dal versante somalo. Studi della società civile indicano una crescita esponenziale dell’Islamismo, al punto che i musulmani etiopici, in questi ultimi anni, avrebbero addirittura superato la soglia del 50% dell’intera popolazione. Il governo di Zenawi finora ha negato che ciò sia avvenuto, riaffermando la tradizione copta come elemento religioso aggregante del cosiddetto nazionalismo etiopico. A ciò si aggiunga l’ormai cronica “guerra fredda” col governo di Asmara: un contenzioso altamente destabilizzante per l’intero Corno d’Africa.

Il buon senso dice che è giunta davvero l’ora di pensare alla pace, non foss’altro perché le spese belliche in questi anni hanno penalizzato sia l’Eritrea che l’Etiopia. Zenawi comunque si difende affermando che sul piano sociale, la copertura sanitaria e l’istruzione nel suo Paese sono più che raddoppiate, oltre alla realizzazione di numerose infrastrutture con l’aiuto della cooperazione di alcuni Paesi come la Cina e l’Italia. A questo punto c’è solo da augurarsi che il governo uscente non continui a stringere la morsa sulla libertà d’espressione, perseguitando i dissidenti. Sarebbe un errore imperdonabile.


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