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Cooperazione & Relazioni internazionali

Auguri al Sud Sudan!

di Giulio Albanese

Chiedo scusa ai lettori di questo Blog per essere stato latitante in queste settimane. Il motivo è che sono stato in visita a Nairobi, in Kenya, con don Gianni Cesena, direttore della Fondazione Missio, per i 50 anni dell’AMECEA (Associazione dei Membri delle Conferenze Episcopali dell’Africa Orientale). E proprio nella capitale keniana, parlando con i missionari e i giornalisti della stampa estera, ho raccolto alcune impressioni sul grande evento che si svolgerà dopodomani, 9 luglio, con la creazione ufficiale della nuova repubblica sudsudanese. Al di là degli omaggi commemorativi e della retorica di circostanza, si tratta di un avvenimento caratterizzato da un elemento di novità e di forte impatto nella storia africana. Infatti, in questi anni, vi sono state alcune componenti significative della diplomazia africana che hanno fatto di tutto – dietro le quinte, s’intende – perché non fosse messo in discussione l’inossidabile principio dell’intangibilità delle frontiere tanto caro ai padri dell’Organizzazione per l’unità africana (Oua). Un assunto, a dire il vero, già confutato con la secessione dell’Eritrea all’inizio degli anni ‘90, ma che non poche cancellerie africane volevano rimanesse un’eccezione nel contesto della geopolitica continentale. Il loro timore è che, prima o poi, quanto avvenuto in Sudan possa ripetersi, per una ragione o per l’altra, in Paesi turbolenti come la Repubblica Democratica del Congo o la Nigeria. Eppure, è stata la gente del Sud Sudan, quella dell’Equatoria, dell’Upper Nile e del Bahr el Ghazal, a chiedere che avvenisse questa svolta epocale, una volontà sancita dalla consultazione referendaria del gennaio scorso con l’intento di riscattare una dignità ripetutamente offesa dall’ingordigia nordista. E se da una parte è vero che gli interessi economici legati all’oro nero hanno rappresentato in fase negoziale l’oggetto del contenzioso, dall’altra è evidente che il popolo sudista intende ormai spezzare le catene della schiavitù. Ora, però, il problema è capire se effettivamente sarà possibile vivere in pace, considerando che rimangono forti tensioni nello stato del Kordofan, dove l’esercito nordista sta incutendo terrore alla popolazione autoctona, per non parlare della contesa contea di Abyei in cui non si è ancora votato per il referendum a seguito delle accese dispute legate al controllo del bacino petrolifero. Ecco perché occorre che tutti si assumano le loro responsabilità, non solo i sudanesi, ma anche la comunità internazionale. Soprattutto Stati Uniti e Cina devono imparare a giocare a carte scoperte, avendo evidenti interessi petroliferi in Sudan. Detto questo, sarebbe forviante pensare di concepire il nuovo assetto politico secondo una logica di netta spartizione confessionale dei territori tra il Nord musulmano e il Sud animista e cristiano. Se così fosse sarebbero davvero spacciate le minoranze religiose, come quella cattolica presente nel Nord, che fa capo al cardinal Gabriel Zubeir Wako, arcivescovo di Khartoum. Dimenticare queste comunità costituirebbe una grave omissione nei confronti della libertà religiosa, con conseguenze pericolose nelle relazioni tra Nord e Sud. Sarà la Storia a giudicare la bontà delle intenzioni.


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