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Servizio Civile Nazionale: ribadita l’identità, manca la pari dignità

di Pasquale Pugliese

Il Servizio Civile è un “autonomo istituto repubblicano di difesa civile, alternativa a quella militare.” E’ la definizione che ne danno le nuove Linee guida per la formazione generale dei giovani in servizio civile nazionale emanate il 19 luglio scorso con decreto del capo del Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale, Paola Paduano. Si tratta di un documento importante che, innovando le precedenti “linee guida”, fa uno sforzo culturale per ribadire e consolidare l’identità del servizio civile in quanto “istituzione deputata alla difesa della Patria intesa come dovere di salvaguardia e promozione dei valori costituzionali fondanti la comunità dei consociati e, quindi, di difesa della Repubblica e delle sue istituzioni, così come disegnate ed articolate nella Costituzione”. Con l’aria bellicista che tira dalle parti del Ministero della difesa, quest’idea di difesa della Patria – “da interpretare in senso moderno, libero da retoriche del passato” (come sottolinea lo stesso documento ndr) – non è affatto scontata, tutt’altro.

Fin dalle prime battute delle Linee guida pare emergere una certa assonanza tra questo documento e quanto ribadito dal mondo del servizio civile, della nonviolenza e della pace nell’Alleanza per il servizio civile, sancita in occasione dei 40 anni dalla prima legge sull’obiezione di coscienza. A partire dal riconoscimento che il tema posto, a suo tempo, dal movimento degli obiettori di coscienza per una difesa non militare della patria, oggi, con la fine dell’esercito di leva, “si è evoluto consapevolmente nella difesa della Patria quale compito non affidato esclusivamente alle sole Forze armate, ma anche al servizio civile nazionale nella forma non armata, nonviolenta e pacifista.” Questo passaggio, che ha portato alla configurazione di due distinte modalità di difesa nel nostro Paese, è ormai riconosciuto pienamente dall’ordinamento legislativo, trovando conferma tanto nella legge istitutiva del SCN (64/01) – la quale assegna come prima finalità del Servizio Civile Nazionale il “concorrere alla difesa della Patria con mezzi ed attività non militari” – quanto nel decreto legislativo che lo disciplina (77/02) – che indica quale unica finalità del SCN la “modalità operativa concorrente e alternativa di difesa dello Stato con mezzi ed attività non militari.” Senza tralasciare, peraltro, aggiungono gli estensori delle Linee guida “la forza delle varie pronunce della Corte Costituzionale, che hanno affermato in maniera definitiva che attività e mezzi alternativi a quelli militari possono integrare e concorrere al dovere di difesa della Patria.”

Inoltre, le “linee guida” – facendo tesoro, in parte, delle elaborazioni svolte dal Comitato per la difesa civile non armata e nonviolenta (Comitato travolto dalla revisione della spesa operata dal governo Monti e ancora non ripristinato, come sarebbe necessario) – provano anche a dare anche una definizione, seppur preliminare e non esaustiva, della difesa civile nonviolenta: “la difesa nonviolenta si riconnette, in primis, al ripudio della guerra, ma poi anche e soprattutto al consolidamento dei legami tra i consociati finalizzato al raggiungimento di una maggiore coesione sociale nel quadro delle libertà garantite dalla Costituzione, alla lotta contro le ineguaglianze e le ingiustizie sociali, alla tenuta/ricostruzione dei legami tra cittadini e tra questi, le istituzioni repubblicane e lo Stato.” Su questi elementi deve trovare fondamento la formazione generale dei giovani volontari – che gli Enti accreditati sono obbligati a fornire – nel loro ruolo che, a questo punto, si configura in quello di veri e propri “difensori civili della Patria” (ivi.).

L’identità del Servizio Civile e dei difensori civili della Patria è dunque, a questo punto, riaffermata con sufficiente chiarezza. La funzione della formazione generale, che deve aiutare i giovani volontari nel processo di progressiva coscientizzazione sul proprio ruolo istituzionale, è oggi più chiaramente delineata. Tuttavia, ciò che ancora manca drammaticamente (e che il documento, per contrasto, aiuta a mettere in luce) è la pari dignità tra le due forme di difesa della Patria. L’una, quella armata, sovradimensionata, con la disponibilità di enormi risorse pubbliche, impermeabile ai tagli, anzi impegnata in continui ampliamenti e riqualificazioni degli arsenali da usare contro ipotetiche e pretestuose minacce esterne oppure – più spesso – in missioni internazionali di guerra, contrarie alla Costituzione. L’altra, quella civile, priva di risorse certe, sempre taglieggiata e costretta ad elemosinare le briciole, incapace di garantire l’esercizio del diritto/dovere di difesa della Patria a tutti i giovani che vogliono spendersi nell’impegno per la difesa dei diritti dalle crescenti minacce interne e per la sperimentazione di mezzi e strumenti costituzionali – nel ripudio della guerra – di risoluzione nonviolenta dei conflitti, anche sul piano internazionale.

Del resto l’ultimo piccolo incremento economico per il Servizio Civile di 1,5 milioni di euro per il 2013 e di 10 milioni per il 2014, approvato recentemente dal Senato, è in realtà del tutto senza proporzioni rispetto al budget della modalità militare concorrente di difesa della Patria. Un conteggio fatto dalla Rete Italiana per il Disarmo ci restituisce questo raffronto: per il 2013 lo stanziamento previsto per il settore investimento delle Forze Armate (cioè per il solo acquisto di armi) è pari a 3.395,2 milioni di euro, cioè 2.263 volte l’aumento concesso al servizio civile, e il costo del personale (solo militare) della Difesa è di 8.342,8 milioni di euro, cioè 5.561 volte l’aumento del fondo per i volontari civili…

L’identità del SCN è dunque ribadita, ma la pari dignità è ancora tutta da conquistare.


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