Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Welfare & Lavoro

Il tempo lungo delle startup sociali

di Flaviano Zandonai

L’accelerazione si afferma sempre più come criterio di efficienza dell’innovazione, soprattutto quando di mezzo c’è la creazione d’impresa. Non a caso i luoghi che ambiscono a coltivare nuove imprese innovative amano definirsi acceleratori. Non è solo una questione nominalistica o di marketing, ma anche di strategia, in particolare per quanto riguarda startup ad orientamento sociale. A questo proposito qualche tempo fa il mio capo aveva coniato, un po’ per intuito un po’ grazie a dati di ricerca, uno slogan che ancora oggi riscuote un certo successo: “slow to start and hard to die”. Le imprese sociali partono piano ma poi sono dure a morire. Rispetto alla seconda parte della sentenza mancano dati precisi sulla mortalità imprenditoriale, ma per quanto riguarda la prima le indagini parlano chiaro: servono infatti anni per far partire e per dare gambe a un progetto d’impresa sociale. Alla faccia dei pochi mesi che invece gli acceleratori concedono alle startup digitali, prima che le quote possedute dalla struttura di supporto vengano cedute a qualche investitore o comprate dai promotori. L’ipotesi di lavoro in campo sociale dovrebbe quindi focalizzarsi sull’efficientamento dei processi di avvio comprimendone l’orizzonte temporale, accelerandoli appunto. Il problema – come suggeriva un dirigente di un’importante rete di imprese sociali – è che l’avvio di una startup sociale non è lento, è lungo. E la lunghezza è dettata non da fattori conoscitivi (mercati di sbocco) e tecnico normativi, rispetto ai quali è possibile lavorare di efficienza tagliandone i tempi (e i costi), ma dipende piuttosto dai meccanismi di responsabilizzazione che legano gli stakeholder di un’impresa sociale. In queste imprese, infatti, la responsabilità dell’intrapresa è collettiva in senso lato. Non riguarda solo i promotori, ma il contesto territoriale in senso ampio. Declinare la responsabilità non rispetto ai propri di interessi ma a quelli di una comunità o territorio è ben più complesso e quindi difficile da accelerare. Anzi l’accelerazione rischia di introdurre elementi di standardizzazione che impediscono di cogliere il carattere peculiare e contestuale delle conoscenze, cioè il materiale da costruzione più utile per un progetto sociale. Così nella gestione del processo di individuazione e di accompagnamento di una startup sociale assumono rilevanza le fasi pre e proto imprenditoriali, dove al centro della questione non ci sono il business plan, la ricerca di mercato e il piano degli investimenti, ma processi di aggregazione sociale che definiscono la misura della responsabilità collettiva.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA