Welfare & Lavoro

Diritti di comunità

di Flaviano Zandonai

Sono giorni importanti per la Big Society inglese. Ma non perché se ne parla male dopo l’ubriacatura di qualche tempo fa. Al contrario, perché si realizzano importanti provvedimenti inquadrabili nell’ottica di una politica davvero attenta a potenziare il ruolo, anche in senso gestionale, delle diverse espressioni della società civile. E’ infatti in corso di approvazione il localism act, un impianto normativo che, forzando un pò, si potrebbe considerare la via inglese alla devoluzione di poteri e risorse a livello locale. Mentre in Italia il federalismo (o quel che ne rimane) è (o era) una partita tutta interna alle articolazioni della Pubblica Amministrazione (ingenerando un’onda anomala neostatalista), nel Regno Unito la dimensione locale riguarda anche e soprattutto le organizzazioni non profit e d’impresa sociale. Una delle più interessanti applicazioni di questa riforma riguarda infatti i community rights, “diritti di comunità” che, al di fuori di ogni retorica nostrana sulla sussidiarietà, riconoscono alle organizzazioni su base comunitaria alcuni diritti in merito all’acquisizione e alla costruzione di beni immobili da destinare (spesso riconvertendoli) a centri di servizio di interesse collettivo (i cossiddetti “community asset”). A queste organizzazioni, infatti, verranno riconosciute corsie preferenziali per acquisire o prendere in gestione biblioteche, pub, negozi, ecc. e farne strutture sociali. Potranno addirittura costruire ex novo in deroga alla pianificazione urbanistica standard e anzi elaborando piani ad hoc per lo sviluppo in senso comunitario del proprio territorio. Il tutto corredato da una piattaforma che contiene informazioni, guide, casi studio, norme, ecc. come da migliore tradizione. Ma la cosa non si ferma a livello nazionale. Proprio qualche giorno fa il Big Society Network ha lanciato un’ulteriore piattaforma, questa volta europea, per raccogliere esperienze di impresa di comunità impegnate nella rigenerazione di asset comunitari. Per ora, oltre agli inglesi, hanno aderito organizzazioni francesi, tedesche e portoghesi. E quelle italiane?


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