Welfare & Lavoro

Chi ha paura del non market?

di Flaviano Zandonai

Alle ultime Giornate di Bertinoro sull’economia civile mi hanno chiesto di coordinare una sessione con un titolo che più ad ampio raggio non si poteva: Market / Non Market. L’economia sociale al bivio. Sollecitato dal tema e da alcuni relatori che chiedevano lumi in merito all’impostazione dei lavori ho provato a individuare alcune di linee di riflessione. Le riprongo aggiungendo alcuni contenuti emersi nel corso degli interventi e della successiva discussione.

L’economia sociale è un complesso di istituzioni con i piedi ben saldi nel mercato. Seppur con diversi gradi d’intensità a seconda del soggetto organizzativo e giuridico considerato, la quota di risorse che viene da corrispettivi per la vendita di beni e di servizi copre una parte rilevante. In qualche caso, come per le cooperative ad esempio, pressoché totale. Emerge quindi il tema di come è possibile regolare la produzione di beni che incorporano importanti elementi di valore sociale (coesione, cura, educazione, seppure, anche in questo caso, con diversi gradi di intensità). La questione dell’aumento dell’IVA per i servizi socio assistenziali ed educativi erogati dalle cooperative sociali sta tutta su questo fronte. L’aumentare o il diminuire dell’aliquota è un indicatore del riconoscimento o meno del carattere di  “interesse collettivo” di questi beni. Poi ci sono le ricadute occupazionali e di spesa pubblica. Ma l’elemento centrale consiste nel favorire l’erogazione di questi servizi, regolando a tal fine le transazioni di mercato.

Il mercato del denaro è invece uno dei più importanti punti di vista per cogliere l’evoluzione prossima ventura dell’economia sociale. L’effervescenza sul versante dell’offerta si nota solo in parte sul lato della domanda. Da una parte vecchi e nuovi attori della finanza che intendono investire in un settore capace di produrre un bene – la socialità – sempre più scarso e ricercato per fare uscire il sistema economico dall’autoreferenzialità. Se poi si aggiunge che si tratta di clienti affidabili si comprende ancor meglio il dinamismo degli ultimi tempi: banche specializzate, fondi d’investimento sociale, social impact bond, ecc. D’altro canto l’economia sociale, dal punto di vista della finanza, assomiglia più a una famiglia che a un’impresa. E’ sì affidabile, ma anche perché si espone poco. Mentre invece si nota che la quota dei prestiti in sofferenza aumenta quando l”economia sociale fa “il grande salto” finanziario. Problemi di management della crescita?

Di non – market si è invece parlato poco nel corso della sessione. E quando è stato evocato se ne è sottolineata la residualità, quasi che una quota eccessiva di liberalità svincolate da contratti di fornitura possa tarpare le ali alla dimensione imprenditoriale di questi soggetti. Mi hanno un pò sorpreso queste posizioni. Anche perché qualche giorno dopo ho sentito dire che un’impresa sociale la si riconosce non solo per come distribuisce le risorse, ma anche per come le raccoglie, incrociando in modo virtuoso diverse fonti. Chi sa combinare risorse di mercato e fundraising donativo è da premiare. Era un banchiere a dirlo.


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