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Politica & Istituzioni

La primavera di Milano

di Franco Bomprezzi

Provo adesso una strana sensazione. E’ probabilmente l’interruzione di una costante tensione emotiva e sentimentale che ha accompagnato me, come tanti altri, in questi mesi di avvincente campagna elettorale per l’elezione del sindaco e del consiglio comunale di Milano. Ho volutamente rallentato la scrittura nel blog, perché ero candidato nella lista Milano Civica per Pisapia e non trovavo conforme al mio stile personale sfruttare questo spazio che è ospitato all’interno del portale di Vita. Un piccolo “conflitto di interessi” che ho risolto attraverso un quieto silenzio, che ora posso superare di slancio, per offrire a chi mi legge solo qualche impressione a caldo, non giudizi politici, tanto meno trionfalistica soddisfazione per la vittoria di Giuliano Pisapia, persona che stimo e alla quale sono legato anche da diretta amicizia.

Nessun trionfalismo anche perché, personalmente, non sono stato eletto. Quinto in una bella lista dominata da due donne combattive e in gamba, non ho avuto sufficienti preferenze per entrare da consigliere a palazzo Marino. La cosa non mi ha turbato granché. Ho solo riflettuto, un attimo, sulla difficoltà che hanno, a volte, i segmenti sociali organizzati a svolgere, democraticamente, attività di lobby in favore di una persona che li potrebbe rappresentare direttamente. Nel mio caso le associazioni delle persone con disabilità, ad esempio. In effetti questa è soprattutto la dimostrazione della loro trasparenza e indipendenza politica, motivo di più per apprezzarne l’impegno, la gratuità, lo spirito di volontariato. Mi dispiacerebbe solo se, di fronte a un risultato non particolarmente robusto dal punto di vista numerico (anche i candidati presenti in altre liste, della maggioranza uscente, non sono stati eletti, compreso l’assessore alla salute, Landi di Chiavenna), la politica dovesse trarne la conseguenza che questo mondo non ha una identità specifica, o addirittura non ha problemi particolari o bisogni per i quali esigere una rappresentanza competente. Così non è, ma questo è tema del futuro.

Da candidato a rotelle annoto mentalmente: ho fatto fatica, molta fatica, a essere “come gli altri”. Difficile raggiungere tutti i luoghi del confronto, quasi impossibile muoversi autonomamente in situazioni che prevedono, per le persone con disabilità, la separazione in recinti sicuri, e non la presenza normale in mezzo agli altri. Molto spesso mi sono reso conto di essere considerato non un candidato, ma un cittadino disabile e basta, per il quale nutrire simpatia, magari ammirazione, ma non quell’attenzione specifica, che si lega a una campagna elettorale. Sono stato piuttosto un testimone, una presenza che ha consentito, spesso, di parlare di temi che altrimenti non sarebbero neppure stati sfiorati. Ma non molto più di questo.

Per il momento mi limito a riflettere su un fenomeno incredibile, ossia l’altissima partecipazione popolare, in tutta la città, attorno alle iniziative in favore di Giuliano Pisapia. E’ stato un movimento in continua crescita, favorito dalla scelta identitaria del colore simbolico, l’arancione, che ha spiazzato le vecchie logiche delle ideologie, e ha avvicinato non solo persone con idee assai diverse, ma anche generazioni lontane, donne e uomini, tantissimi giovani e forse altrettanti anziani.

Il pullulare di iniziative semplici, positive, liete, nei quartieri, nei luoghi dimenticati delle periferie e del centro (che spesso è più periferico dei quartieri esterni) ha permesso negli ultimi mesi la crescita di un fenomeno sorprendente e unico nel suo genere, ossia l’allontanamento dalla solitudine e dall’inutilità individuale. Due dei mali endemici di Milano: la sensazione che ogni cittadino porta con sé da tanto tempo, di essere sostanzialmente solo, periferico umanamente, e per di più del tutto inutile, inservibile per il cambiamento delle condizioni di vita.

Vincere la solitudine ha significato spesso spegnere la televisione, uscire di casa, avvicinare altri cittadini, sorridere, parlare, abbracciarsi, partecipare a piccoli convegni veloci, spettacoli improvvisati, feste nei giardini, nelle piazze e nelle strade. Milano è diventata improvvisamente amichevole, allegra, accogliente. Si è rotto un incantesimo, quello della tristezza, della paura, dell’insicurezza, della rabbia, della diffidenza.

La festa è stata lunga, culminata in alcuni momenti pubblici di grande intensità, in piazza del Duomo, nei teatri, davanti alla Stazione. Forse era troppo tempo che Milano attendeva di riscoprire la propria bellezza, l’umanità, la giovialità, la risata, l’ironia. La Milano da “barbera e champagne” di Gaber, senza distinzioni di classe, ha visto nei mesi mescolarsi culture, provenienze, ceti, ricchezze, in una miscela liquida quasi caotica, che ha vissuto, spesso, di vita propria.

Tutto questo significa che per Giuliano Pisapia sarà difficilissimo governare, perché dovrà riuscire a mantenere questo clima di partecipazione gioiosa e convinta, per sopperire alla mancanza di fondi, alla difficoltà delle soluzioni ai tanti problemi che inevitabilmente non potrà risolvere con la bacchetta magica. Pisapia dovrà continuare a essere se stesso, con quel sorriso buono e le parole semplici, e nello stesso tempo dovrà dare a Milano un’amministrazione di qualità, competente, colta, efficiente, moderna, da grande metropoli europea.

Il futuro ci dirà se ne sarà stato capace. Ma quel suo appello: “Non lasciatemi da solo”, si può e si deve leggere in entrambe le direzioni: è come se ogni milanese, oggi, dicesse ad alta voce: “Mai più da soli. Mai più”.


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