Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Politica & Istituzioni

Dal letto 14 alla giungla

di Franco Bomprezzi

Torno a casa. E’ trascorso quasi un mese dal 25 ottobre, quando sono riuscito in un colpo solo a fratturarmi due gambe. Ne ho scritto anche troppo, in queste settimane, in questo blog, dialogando con gli affezionati lettori e con gli amici di facebook, che mi hanno fatto compagnia, incitandomi, coccolandomi, aiutandomi non poco a superare uno dei tanti momenti non facili di un’esistenza nel corso della quale ho dovuto sempre fare i conti con la fragilità, e dunque con la disabilità. Il letto 14 è diventato un punto di incontro, un crocevia di sensazioni, emozioni, storie, riflessioni a voce alta. Il tutto con quel pizzico di ironia e di leggerezza che sempre dovrebbe accompagnarsi alle situazioni complesse, non solo per sdrammatizzare, ma anche per collocare le cose in una giusta dimensione, in un contesto comprensibile e condivisibile.

Torno a casa, ma torno anche nella giungla. Qui mi ero abituato bene, con infermieri simpatici e professionali, con medici capaci anche di amicizia, con compagni di ricovero che hanno riempito le mie giornate di chiacchiere semplici e concrete, di vite spezzate ma che ripartono, lentamente ma sicuramente. L’Unità spinale è un mondo un po’ speciale, ci si abitua rapidamente, e il distacco comporta persino una certa inquietudine, perché comunque da domani, da lunedì, dovrò fare i conti con una convalescenza lunga e non semplice, nell’attesa che le ossa si saldino e mi restituiscano all’autonomia, all’autosufficienza.

Ma perché parlo di giungla? Perché stasera continuo a pensare a ciò che è accaduto a Cremona, una delle città più quiete e provinciali che si possano immaginare. Bella e civile, ordinata e umana. E mi domando come sia stato possibile lo scatenarsi, in una tranquilla stradina del centro, di una violenza senza freni inibitori. La vicenda credo sia nota, per la sua assurdità, quasi a tutti. Un pensionato di 76 anni è morto, travolto dal conducente di un Suv, al termine di una lite furibonda originata da un piccolo sopruso. L’omicida aveva infatti parcheggiato nel posto personalizzato riservato alla sosta di una persona invalida, la compagna del pensionato ucciso. Il quale, probabilmente esasperato dall’ennesima situazione di questo tipo, non potendo parcheggiare la propria vettura, aveva chiamato la polizia municipale per far rimuovere il Suv. L’arrivo del conducente, un imprenditore del bresciano, ha trasformato la storia, di per sé minima, in una tragedia assurda. La lite fra i due uomini, i pugni battuti sul cofano del Suv, la decisione improvvisa e folle di partire sgommando e travolgendo l’anziano. Ora la sua compagna, invalida, ha perso il suo paladino, è rimasta sola. E il conducente del Suv ha la vita bruscamente cambiata per un momento di follia raccapricciante.

Questo almeno dicono le cronache, ovviamente incapaci di riprodurre con esattezza la concatenazione dei fatti. Mi viene da pensare che attorno a questo piccolo diritto negato, quello alla sosta in un posto riservato e ben delimitato, con tanto di cartello, sia esplosa una rabbia covata da tempo, legata alla constatazione che la prepotenza, l’arroganza, l’insensibilità nei confronti di chi è realmente invalido, stanno diventando regola costante di comportamento, un malcostume così diffuso da portare chi subisce il torto a una crescente sensazione di impotenza, di frustrazione, e dunque di rabbia, forse persino eccessiva, al punto da non valutare neppure il rischio di dover confrontare la propria indignata protesta con una persona che evidentemente non accetta di buon grado le regole della convivenza civile, e che, senza generalizzare la fenomenologia del Suv (tentazione peraltro fortissima, anche se a rischio di razzismo automobilistico), è probabilmente pronta a reagire in modo brutale, violento, impulsivo, di fronte al rischio dell’arrivo di una pattuglia di vigili urbani.

In questi mesi molte sono state le prese di posizione e le iniziative per stroncare il fenomeno, troppo diffuso, della sosta selvaggia e furba nei posti riservati ai disabili. Anche io, personalmente, assieme agli amministratori del comune di Milano, ho cercato di contribuire alla messa a punto di contromisure efficaci e in qualche misura educative. Ma di fronte a un episodio come quello di Cremona resto sgomento. E si insinua il dubbio che anche questo episodio si inquadri in una situazione più vasta di deterioramento della coesione sociale, di giungla urbana, appunto, nella quale vige solo la legge del più forte. Penso anche che si sia fatta strada, sotto la spinta delle campagne mediatiche contro i “falsi invalidi”, l’idea che molto probabilmente anche i posti riservati alla sosta sono quasi un privilegio, e vengono assegnati a persone che tanto non ne hanno diritto, né bisogno.

Mi viene solo da sperare che il dramma di Cremona segni il punto di non ritorno, l’acme di un fenomeno, l’episodio capace finalmente di ricondurre tutti alla ragione, alla tolleranza, al senso civico “minimo”. Non voglio condividere il pessimismo di Carlo Chianura, che nel suo blog su Repubblica.it, afferma che il nostro “non è un Paese per disabili”. Non ci credo, non è così. La rassegnazione al peggio è pericolosa, anche quando assume la forma della protesta e della denuncia civile. Questo è anche un Paese per disabili. Ha le leggi migliori d’Europa, ha le associazioni più combattive e preparate, ha tante persone in gamba che ogni giorno si battono per i diritti essenziali.

E se succede un episodio come questo, forse è perché, ingiustamente, i singoli cittadini si sentono soli di fronte al sopruso e all’arroganza.. Abbassiamo i toni, anche noi. Proviamo ad applicare, nei prossimi mesi, le regole elementari del dialogo e dell’ascolto. Torno a casa volentieri, e non ho paura. Alla fine, vinceremo noi. Tutti insieme.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA